Gli impianti di biometano continuano a far discutere le amministrazioni locali nel Veronese, con tensioni che vanno ben oltre le aule dei tribunali. Due situazioni stanno facendo emergere un fronte di contrapposizioni: da una parte il caso di Zimella e Veronella, dall’altra quello di Concamarise con l’opposizione dei Comuni limitrofi.

A Zimella, il Comune ha dato il via libera a un impianto da 300 smc/h in area agricola, sostenendo probabilmente l’idea di favorire energie rinnovabili e investimenti privati. Dall’altro lato, però, Veronella si oppone duramente, preoccupato per la vicinanza al proprio territorio. La questione qui è geografica ma anche sociale: l’impianto, pur essendo formalmente sul territorio di Zimella, avrebbe un impatto diretto su Veronella, sia in termini di viabilità — con il transito continuo di mezzi per il trasporto delle biomasse — sia per le possibili emissioni odorigene. Insomma, il beneficio economico e ambientale, secondo Veronella, ricadrebbe su Zimella, mentre le conseguenze più concrete finirebbero sulle spalle dei cittadini del Comune confinante.

A Concamarise, invece, il Tar ha appena respinto — dichiarandolo “irricevibile” per ritardo — il ricorso dei Comuni di Salizzole, Sanguinetto e Nogara contro l’autorizzazione della Regione Veneto all’impianto da 500 smc/h proposto dall’azienda Bmh21. I Comuni avevano presentato un “ricorso straordinario al Presidente della Repubblica”, ma il Tar ha sottolineato che, secondo la legge 108/2022, le controversie su progetti finanziati con fondi Porr devono essere risolte rapidamente tramite strumenti processuali specifici.

Intanto la protesta si allarga, coinvolgendo non solo il Comune ma anche quelli di Salizzole, Sanguinetto e Nogara. Qui le paure sono simili: timori per il traffico pesante legato al trasporto delle biomasse, dubbi sugli odori e preoccupazioni per l’impatto sulla qualità della vita. Ma a pesare è anche la percezione di essere stati esclusi dal processo decisionale. I sindaci contestano il fatto di non essere stati coinvolti a sufficienza nell’iter di approvazione del progetto presentato dall’azienda Bmh21, alimentando la sensazione che le scelte siano state calate dall’alto senza un reale confronto con le comunità locali.

Ciò che accomuna le due vicende è quindi il malcontento legato non tanto all’idea del biometano in sé — riconosciuto come una fonte di energia rinnovabile — ma alla gestione territoriale dei progetti. I Comuni contrari denunciano non solo l’impatto ambientale, ma anche il rischio di diventare zone di “scarico” delle conseguenze negative, senza ricevere in cambio benefici tangibili.

Nel frattempo, la questione ha assunto una dimensione politica. Il Partito Democratico, con una recente mozione in Consiglio regionale, ha parlato di una “moltiplicazione incontrollata” delle richieste per impianti di biometano, definendo il loro impatto “estremamente pesante” per i territori. Una posizione che riflette le preoccupazioni delle comunità locali e che spinge per una pianificazione più chiara e condivisa.

In sintesi, più che una battaglia contro il biometano, quella in corso nel Veronese sembra una sfida per il controllo del territorio: chi decide dove costruire, chi ne trae vantaggio e chi, invece, paga il prezzo più alto.

E pensare che l’impianto di biometano più grande d’Europa si trova in Veneto, a Schiavon nella provincia di Vicenza e rappresenta un esempio concreto di economia circolare e sostenibilità ambientale, dimostrando come l’innovazione tecnologica possa integrarsi con le pratiche agricole tradizionali.
Alimentato dai reflui zootecnici di 117 aziende agricole locali, produce ogni anno 7 mila tonnellate di biometano — sufficienti a coprire il fabbisogno annuale di 200 automezzi pesanti che percorrono 100.000 chilometri ciascuno — e 250 mila tonnellate di digestato, un ammendante naturale utile alla concimazione di circa 10 mila ettari di campagna.

Foto: l’impianto di biometano a Schiavon, il più grande d’Europa.

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