«I cambiamenti climatici stanno accentuando quella che è un’alternanza di produzione normale negli olivi e lo vediamo quest’anno, con un calo di quantità che è prevedibile in un -65%. Quindi vanno rivisti gli interventi agronomici per limitare questa differenza tra anni di carica e quelli di scarica. Differenza che sta, invece, sempre più accentuandosi. Poi, c’è l’altro lato della medaglia: l’innalzamento climatico sta elevando la quota dove è possibile coltivare olivi».
L’analisi sull’andamento stagionale dell’olivicoltura nel Veronese la fa Enzo Gambin, direttore dell’Aipo di Verona, l’Associazione regionale produttori olivicoli che da anni rappresenta un punto di riferimento a livello nazionale per il settore dell’olivicoltura.
«Le previsioni di raccolta sono di un 65% in meno rispetto ad un’annata normale. Detto questo – riprende Gambin – non siamo davanti ad una situazione straordinaria, al di là delle calamità di una primavera fredda, della grandine e dei caldi eccessivi sulla fioritura.
Quello che ci deve far preoccupare e richiede interventi è l’ampliarsi della forbice produttiva. L’anno scorso, anno di carica, è stato eccezionale per produzione: abbiamo registrato un 240% in più rispetto all’anno precedente che fu di scarica per gli olivi nel centro e nord Italia».
«Dobbiamo adottare delle tecniche di potatura, concimazione e irrigazione delle piante che meglio si adattano a queste variazioni sempre più estreme del clima – spiega il presidente dell’Aipo, Albino Pezzini -. Siamo davanti ad annate che non hanno più le quattro stagionalità, ma oramai sono ridotte al periodo freddo ed a quello caldo, con degli intermezzi di ritorno di freddo durante la primavera.
Le stesse precipitazioni non sono diminuite in quantità, ma concentrate in brevi e isolati periodi. Anche qui la gestione del terreno deve variare, valutando i tipi di inerbimento da porre, in modo da accumulare il più possibile la pioggia ed evitare gli attuali notevoli ruscellamenti dove l’acqua non trova terreno con porosità sufficienti per scendere in profondità».
«Parliamo di tecniche conosciute da centinaia di anni ma che con la meccanizzazione degli ultimi 50 anni e la perdita di memoria delle stesse, vanno recuperate. Anche perché l’irrigazione a scorrimento bisogna dimenticarla, e quella a pioggia rischia poi di creare altri problemi dal punto di vista della salubrità del frutto, diventando quindi un richiamo per parassiti».
«Come Aipo da sempre facciamo cultura e ricerca applicata, attraverso l’informazione con il nostro periodico e con corsi per olivicoltori – chiarisce Pezzini -. Questi cambiamenti climatici daranno anche nuove prospettive perché si alza la quota di coltivazione dell’olivo, e quindi nel Veneto avremo altri 5mila ettari da destinare all’olivicoltura, per esempio tutta la parte del Bellunese dove ritirandosi allevamento si potranno piantare olivi, altrimenti si avranno solo boschi spontanei. Su questo Aipo ha chiesto alla Regione un piano olivicolo».
Nel Veronese già oggi l’olivo arriva fino a Cerro, e nel Vicentino alle pendici dell’altopiano di Asiago, a Treviso abbiamo tutta la zona sopra Asolo, a Padova i Colli Euganei e Berici, e poi tutta la Pedemontana del Grappa tra Treviso e Vicenza. Oggi nel Bellunese l’olivicoltura non è presente. «Ma anche qui non si va più a -20 gradi. Entro qualche anno se continua l’innalzamenti della temperatura, il bellunese potrà diventare terra da olivi», riflette Gambin.
«Le ultime novità sulla ricerca è una meccanica di precisione con i droni per i trattamenti fitosanitari per non disperdere nell’ambiente sostante attive. Droni che portano 10 litri e che trattano direttamente pianta per pianta, attraverso un piano di volo che rallenta la velocità sulla pianta.
E poi con telecamere incorporate controlla anche lo stato fitosanitario dell’olivo – sottolinea Gambin -. Ma sarà fondamentale ritornare a fare la potatura estiva dell’olivo, la rimonda, per eliminare polloni e succhioni che tolgono sostanze produttive alla pianta, aiutando l’olivo nei periodi più difficili. E poi predisporre il terreno in modo che possa trattenere più acqua possibile».
«Quest’anno le previsioni della raccolta sono di un -65% rispetto ad un’annata normale, quindi saremo sui 50-60 mila quintali di olive nel Veneto. Vorrà dire una produzione con una resa circa del 13% di circa 8 mila quintali di olio extravergine d’oliva.
A livello economico parliamo 8 milioni di euro, quando l’anno scorso con 245 mila quintali raccolti (+240%) il fatturato dell’olivicoltura veneta è stato di ben 24 milioni di euro.
Una situazione che a livello di prezzi non dovrebbe avere gravi riscontri, grazie al fatto che il Sud Italia è, invece, nell’annata produttiva buona con una previsione di un 40% in più di produzione di olive. Un interscambio di olive tra Nord e Sud che è tradizione dell’Italia».
«Parliamo di una perdita economica del 65% a cui le aziende stanno facendo fronte – conclude Gambin -. La maggior parte dei nostri associati sono piccoli produttori, con in media 200 piante, dove spesso questa non è l’attività prevalente, Ma vi è chi ha oltre mille olivi e qui le perdite economiche sono enormi».
Foto: a destra in alto, Enzo Gambin direttore dell’Aipo di Verona; in basso, il presidente dell’Aipo, Albino Pezzini.