«In sede Confcommercio Verona – racconta Paolo Artelio presidente di Fipe- Confcommercio, l’importante sindacato che rappresenta gli imprenditori del settore dei pubblici esercizi – da una settimana continuano a chiederci informazioni su questa possibilità, appena confermata anche dalla prefettura: il Dpcm del 3 dicembre scorso stabiliva che le mense aziendali possono proseguire».

Non ci ha pensato due volte Enrico Fiorini, 46 anni che gestisce il ristorante pizzeria “Al Borgo 1964» a Cerea, e ha riaperto il locale a pranzo in forma di mensa aziendale.
I suoi clienti ora sono gli imbianchini di una ditta edile, gli operai di un’officina meccanica, gli amministrativi di un supermercato lì vicino.
«Riaprire così aiuta ad andare avanti, un ristoro concreto contro quello irrisorio di Roma, ma è anche una tutela per chi ha bisogno di una ristorazione di servizio, due piatti caldi, seduto a un tavolo riposando per mezzora: una cosa di civiltà» – commenta Fiorini.
A pranzo non entra il privato qualunque e tra i documenti della convenzione c’è l’elenco dei dipendenti che siedono al tavolo seguendo linee-guida di distanziamento e sanificazioni.

«Rifiuto la linea di pensiero di #ioapro – spiega Fiorini a Matteo Sorio del Corriere – anche se quando spingi una categoria alla disobbedienza civile qualche domanda, come politico, te la dovresti porre. Detto ciò, a Cerea stiamo lavorando con 70- 80 coperti al giorno rispetto ai 120 a regime normale. Riaprire vuol dire far lavorare circa 35 fornitori, dagli stuzzicadenti alle bibite, dal contadino che ci vende la verdura al panettiere. Dai quarantasette coperti in su qualcosa ti rimane in cassa, il che significa poter tamponare la falla».

Fiorini porta avanti altri due locali di cui uno in città «In tutto 62 dipendenti che sono in cassa integrazione, ma la perdita è del 70% e da Roma ci è arrivato l’1% del vecchio fatturato totale».

Riaprire pure il locale in città, sotto forma di mensa aziendale, è fuori discussione, racconta. La stessa Confcommercio conferma che pochi tra centro e periferia, salvo in Zai, ci stanno pensando. E non è solo un fatto di smart working. «Le differenze che ho visto tra la città e il nostro territorio dal primo lockdown a ora sono evidenti: Verona si è completamente seduta scoprendo di non essere dei veronesi ma dei turisti, e oggi pare un animale ferito, pieno di paura. La Pianura vive nel verde, la gente è rustica: nel maggio scorso riaprire qui voleva dire la sala subito piena, cosa che in città abbiamo rivisto giusto a metà settembre».