È tornata a Minerbe in auto da Bruxelles venerdì 19 giugno, dopo 4 mesi, bloccata in Belgio dal 17 febbraio per il lockdown dovuto al Coronavirus.
È l’avventura vissuta da Jessica Polo, 27 anni di Miberbe, dallo scorso anno assistente dell’europarlamentare veronese Paolo Borchia.
Una storia, la sua, comune a tante persone che lavorano all’Unione Europea. Solo in Veneto sono una decina.
«Non ce la facevo più a non rivedere i miei genitori e mia sorella. Sono stati quattro mesi durissimi, anche perché da marzo sono rimasta proprio sola anche nell’appartamento che a Bruxelles condivido con altre due ragazze.
Loro, infatti, hanno deciso di tornare a casa, io non potevo farlo – spiega Jessica che tra l’altro a Minerbe è anche consigliere comunale -. Infatti, il 24 febbraio il Belgio ha emanato una direttiva con la quale chi rientrava da zone considerate a rischio, tra cui il Veneto, doveva andare in quarantena per 14 giorni. Quindi, se fossi tornata a casa, a Minerbe, non avrei potuto lavorare e rientrare in Parlamento per 14 giorni».
Una quarantena obbligatoria che in Belgio è durata fino al 15 giugno.
«C’era e c’è poi un altro problema, quello dei voli da Bruxelles. Il volo su Verona resta cancellato, e anche l’onorevole Borchia è stato costretto a fare due scali a Roma e a Venezia. Per non parlare dei costi dei biglietti, lievitati a dismisura visto che sono rimaste poche compagnie ad offrire una tratta da Bruxelles. Tanto che io, assieme ad un collega, ho deciso di rientrare a casa noleggiando un’auto».
«Confesso che in queste settimane ho scoperto quanto amavo certe cose della mia terra, come le passeggiate nella Pianura veronese o l’aperitivo in piazza Erbe a Verona con gli amici – riprende Jessica -. Per non parlare di certi sapori: mi è mancato il risotto alla veneta che ho chiesto subito a mia sorella come primo pasto in famiglia postCovid».
La tua famiglia come ha reagito alla tua lontanaza, era preoccupata?
«Figurarsi, tantissimo. I miei genitori potevo vederli solo via Skype. Mia sorella, che a Minerbe ha un ristorante, per il Covid si è trovata l’attività chiusa per mesi. Io non potevo essere lì a sostenerla. Mio papà mi ha proibito di tornare a casa perché avrei dovuto, in piena emergenza sanitaria, prendere due o tre aerei e forse anche il treno – sottolinea Jessica -. Devo dire che la mia famiglia ha fatto di tutto per farmi stare tranquilla, addirittura dicendomi che era meglio se rimanevo dov’ero visto l’esplosione di contagi in Veneto ai primi di marzo».
In Belgio com’era la situazione?
«È stato un lockdown meno rigido rispetto a quello che vedevo in Italia. Per esempio si poteva uscire e passeggiare, e non c’era l’obbligo della mascherina. Soprattutto nelle prime settimane ad indossarla eravamo praticamente solo noi italiani, perché guardavamo i telegiornali del nostro Paese. Personalmente sono contenta di averlo fatto visto che dopo hanno iniziato ad indossarla tutti.
Anche perché il rischio per noi era di finire magari in ospedale, all’estero, e senza nessuno della nostra famiglia che potesse venire ad assisterci».
E per quanto riguarda il lavoro?
«Il Parlamento europeo ha messo subito, a febbraio, in telelavoro il 75% dei suoi addetti e poi da aprile il 100%. Oggi gli uffici sono ancora chiusi mentre i lavori parlamentari sono ripresi, comprese le sedute dell’aula, e quindi anche la nostra attività di assistenti. Infatti, dopo solo tre giorni a casa, da lunedì 22 giugno sono ritornata, sempre in auto, a Bruxelles».
[da Primo Giornale]
Foto: a sinistra, l’europarlamentare Paolo Borchia; al centro, Parlamento europeo a Bruxelles; a destra, Jessica Polo consigliere comunale a Minerbe e assistente di Borchia.