Abbiamo deciso di raccontare questa storia perché nessuno aveva mai descritto il coronavirus dal di dentro, cioè visto dalla parte dei medici, dall’interno degli ospedali. Nessuno ci aveva mai raccontato tante piccole verità quotidiane. Questa è la storia di Gianluca Boari, medico in prima linea nell’unità coronavirus in un ospedale della “bassa” lombarda.
“Non è mia abitudine prendere posizione sui social od intervenire pubblicamente (credo che sia la prima volta in assoluto), perché normalmente preferisco confrontare le opinioni faccia a faccia, in modo da poter guardare negli occhi il mio od i miei interlocutori, ma stavolta credo che sia importante fare un’eccezione, perché ritengo importante far conoscere dal punto di vista di un “tecnico” qualsiasi, alcune questioni.
Sono un medico specialista in medicina interna e d’urgenza. Non sono un luminare della scienza. Non sono un grande eroe e non sono un divulgatore. Cerco di fare bene il mio lavoro ed attualmente faccio parte (per la precisione, mi sono trovato a far parte) della “prima linea” di un ospedale della “bassa” lombarda. Lavoro in una Medicina come tante, dove abbiamo creato (dovuto creare per necessità, sempre per amore di precisione) l’unità coronavirus con letti dedicati a questi pazienti, come si è fatto a Cremona, Brescia, Lodi, Codogno ed in numero di altre città italiane che va via via aumentando.
I medici di questo reparto (come tanti altri) si occupano fin dall’inizio di questa epidemia dei pazienti affetti da coronavirus (i primi sono stati individuati dal nostro gruppo di internisti, sempre per necessità e non per eroismo o perché dotati di qualche superpotere).
Per questo motivo, il gruppo di Medici a cui appartengo ha già visitato e seguito (e segue attivamente) parecchi pazienti ricoverati per il famoso coronavirus (covid-19) e comincio a farmi un’idea di cosa significhi questa malattia.
Non essendo sicuramente un esperto di fama mondiale, non sono specializzato in malattie infettive né sono un virologo od un epidemiologo di grande fama e non voglio in nessun modo attribuirmi competenze che non mi appartengono.
Vorrei solo dare il mio piccolo contributo alle notizie, senza allarmismi inappropriati ma anche senza sottovalutazioni.
Dato che l’infezione è attualmente non ancora sotto controllo e la situazione è in continuo cambiamento insieme alle nostre conoscenze della malattia, scrivo queste informazioni, sperando che possano essere utili a qualcuno.
Spiego quello che sono riuscito a “mettere insieme” in questo periodo, tenendo conto che la mia versione potrebbe essere alterata rispetto alla realtà che tutti vivono quotidianamente coloro che stanno fuori dall’ospedale, perché io valuto, visito e vedo sempre e solo quelle persone che “vanno male” e che finiscono per aver bisogno di un ricovero ospedaliero a vari livelli.
Raccogliendo informazioni dalle persone che vengono ricoverate in ospedale, si è confermato che questo virus è ESTREMAMENTE contagioso, soprattutto perché, essendo nuovo per la razza umana, non esistono persone immuni per un precedente contatto, come succede, per esempio, per l’influenza (e questo virus NON è l’influenza).
Inoltre, contagia tanto per via aerea (noi le chiamiamo “gocce di Flügge”, ma sono le comuni gocce di saliva e/o nasali che vengono emesse quando si tossisce o starnutisce) quanto per contatto (le gocce di cui sopra si posano sulle superfici ed il virus rimane attivo abbastanza a lungo – si ritiene per alcuni giorni, che potrebbero essere anche più di 10…non ho certezza di questo al momento, a meno che la superficie non venga “sanificata” con idonei disinfettanti come la celebre Amuchina).
Il fatto che non esista un’immunità naturale umana rende questo virus particolarmente aggressivo, perché il sistema immunitario viene in contatto con qualche cosa di assolutamente sconosciuto e diverso da altri virus (quello dell’influenza cambia ogni anno, ma la “base” è pur sempre la stessa – sebbene questa sia una estrema ed imprecisa semplificazione – quindi le persone hanno livelli diversi di resistenza e possono svilupparlo dalla forma più grave – la famosa “Spagnola” che causò una mortalità del 2% ne è un esempio – alla forma più lieve).
Quindi, nel caso del coronavirus il numero di contagi atteso è elevatissimo (il calcolo esatto e le stime, che arrivano fino al 70% della popolazione secondo alcuni, lo lascio a chi è più competente…credo che “tantissimi” renda l’idea).
L’altro problema sono i sintomi, che sono estremamente polimorfi. Esistono persone nelle quali decorre in modo pressoché asintomatico (magari lamentano alcuni giorni di stanchezza, un modesto malessere, magari accompagnato da un lieve rialzo di temperatura, a volte neppure percepito, e nulla più), molte nelle quali decorre paucisintomatico (con sintomi che vanno da febbre-febbricola, spesso non superiore a 38°C, magari con diarrea, nausea modesta, cefalea, congiuntivite, rinorrea in varia associazione) od in forme simil-influenzali, con febbre elevata, brividi, dolori osteo-muscolari, tosse secca e stizzosa, con durate da pochi fino ad una decina di giorni).
In una certa quota di casi, stimata fra il 10 ed il 15% (potrebbe essere anche una sovrastima, dato che il vero numero delle infezioni asintomatiche e/o paucisintomatiche è ignoto, ma presunto elevatissimo; tuttavia questo è ciò che sappiamo attualmente e, ancora una volta, non è il mio lavoro stilare stime precise) la febbre elevata e la tosse si complicano con quella che si definisce “polmonite interstiziale”, che è una forma di polmonite dovuta al virus, che, per questo motivo, non risponde agli antibiotici che normalmente usiamo nelle polmoniti classiche (dovute a batteri).
In questo sfortunato caso, la situazione si complica, in modo diverso da caso a caso: alcuni, soprattutto se giovani ed in buone condizioni di salute, affrontano la polmonite e guariscono comunque spontaneamente in una quindicina di giorni; altri sviluppano progressivamente una difficoltà respiratoria con insufficiente ossigenazione del sangue, che richiede supporto esterno (terapia con ossigeno) e conseguentemente un ricovero in ospedale. Una quota di queste persone si complica al punto che la “semplice” somministrazione di ossigeno non è più sufficiente, ma diventa necessario arrivare ad intubare e ventilare meccanicamente fino a che il corpo non reagisce e la polmonite regredisce (cosa che, purtroppo, non sempre avviene).
L’efficacia di questo intervento è tanto maggiore quanto migliori sono le condizioni di partenza di chi è affetto dal virus. E questo spiega perché le persone più anziane e con più malattie (soprattutto quelle cardiache) facciano più fatica a guarire.
Il problema che si sta verificando è legato al fatto che la terapia che appare attualmente più efficae per le forme che si complicano è, appunto: l’intubazione e la gestione in terapia intensiva per molti giorni (normalmente, mi dicono i Colleghi Anestesisti, minimo 15 giorni…quando sono ottimisti).
Considerando che normalmente i reparti di rianimazione sono di base piuttosto affollati, specie nei mesi invernali, per altre patologie, l’avvento di un così elevato numero di persone infette da coronavirus bisognose di terapia intensiva (che sono, fra l’altro, molto contagiose) ha posto sotto estremo stress un sistema che era già ai limiti (ed esula da questo commento ogni disquisizione sulle ragioni che hanno condotto a questa situazione).
Attualmente vengono dedicati interi reparti al trattamento dei soli pazienti affetti da coronavirus (come quello in cui lavoro). Medici, infermieri e personale sanitario rinunciano a ferie, riposi, recuperi per sopperire alla necessità di cura. Vengono ogni giorno riconvertiti reparti per assistere chi è affetto (ed altamente contagioso), cercando di tenerlo separato da chi è ricoverato per altri motivi. Ed i posti faticano ad essere sufficienti. E stiamo ancora parlando di “normali” reparti di degenza (i normali letti di ospedale, per capirci).
I reparti di rianimazione, poi, sono pieni fino a scoppiare, nonostante siano già stati a più riprese potenziati numericamente ed ancora oggi stiano cercando di aumentare le disponibilità.
E questo porta a fare delle scelte terribili e difficili, come il fatto di NON trattare alcune persone perché, per età e malattie, avrebbero comunque poche possibilità, a favore di quelle che hanno più possibilità (come recentemente ribadito da un documento dei medici anestesisti/rianimatori che si occupano di terapia intensiva, fatto mai accaduto in passato).
In condizioni ideali di un sistema sanitario in piena efficienza, probabilmente la mortalità totale si attesterebbe attorno a valori più bassi rispetto a quelli attualmente descritti (ma anche un “semplice” 1% non è poco, se si pensa, tanto per fare un esempio, a 10-20 milioni di persone che contraggono l’infezione…), ma nella situazione attuale la mortalità rischia di aumentare drasticamente, perché persone che sarebbero salvate dall’intubazione e trattamento in terapia intensiva NON POSSONO essere curate in quel modo per il fatto che non ci sono abbastanza posti.
Purtroppo non ci sono attualmente farmaci riconosciuti con certezza come efficaci nel curare questa infezione. Ci sono dei tentativi e degli studi in corso, ma solo il tempo (non ora) dirà se abbiano effetti significativi.
E vengo – al di là della divulgazione – al punto centrale di questa lunga riflessione. Le misure che vengono attualmente messe in atto dal governo hanno un senso. Molto senso. Forse sono ancora troppo permissive (ma è solo un’opinione).
Non credo (e chi è in ambito medico lo sa) che esse annullino il contagio completamente, ma hanno il nobile obiettivo di rallentarlo e di evitare un numero eccessivo di contagi contemporanei, “spalmandoli” su un periodo più prolungato. Questo permette al sistema sanitario di finire di trattare chi è attualmente affetto ed in cura, in modo da poter gestire efficacemente e nel modo migliore chi contrarrà la malattia più avanti. Per fare un esempio pratico, se io ho 100 posti per curare una malattia e si ammalano in un anno un milione di persone, ma lo fanno 100 per volta, riesco a salvarne tantissimi (in Cina, una volta che si sono organizzati, sembra che la mortalità sia scesa a valori molto bassi), ma se si ammalano 10000 per volta, allora potrò curarne solo 100, con le conseguenze del caso.
Ed ecco perché credo che sia un’ottima idea portare pazienza ed obbedire a quanto viene richiesto per un mese (sperando che sia sufficiente) in modo da ridurre il tasso di infezione, magari cercando di limitare tutti i contatti e le possibilità di contagio, come giustamente viene suggerito dalla scienza e correttamente recepito dalle recenti valutazioni del governo.
Per fermare un’epidemia (od una pandemia, perché ormai siamo a quello), si deve ridurre il rapporto fra nuovi contagiati e persone ammalate ad un valore inferiore ad uno (è un concetto matematico semplice: in pratica, se in media 10 persone affette ne contagiano non più di nove, il numero degli infettati comincia a diminuire), A quel punto si invertirà l’andamento della diffusione dell’infezione ed il sistema sanitario sarà in grado di “smaltire” progressivamente i ricoverati e trattare sempre più efficacemente i nuovi casi. Inoltre, questo miglioramento dovrebbe essere aiutato dal fatto che (per quanto si sa) le persone guarite dovrebbero sviluppare un’immunità (non ancora chiaro del tutto) tale da fungere essi stessi da fattori limitanti il contagio.
Ecco…le cose stanno più o meno così.
Purtroppo molte persone non hanno ancora capito od accettato la situazione. Oppure, per paura, negano l’evidenza o sottovalutano il problema. Ho visto e sentito di gente assiepata ai supermercati, in stazione, in luoghi pubblici, addirittura nei pronti soccorso dove “fanno il tampone”. Ho letto di party ed aperitivi per “vincere la paura”. Mi sembrano ragionamenti superficiali ed irresponsabili. Non serve vivere nel terrore, ma bisogna accettare la situazione e reagire con intelligenza.
Ho scritto queste cose perché in ospedale vedo e vivo tutti i giorni situazioni davvero difficili, che potrebbero mettere in crisi chiunque sia dotato di umana sensibilità e che vorrei potessero aver termine il prima possibile.
Ho visto persone soffrire, persone morire, persone guarire. Ho visto tanto dolore ed anche tanta compostezza in questa situazione difficile da parte dei malati e dei loro familiari. Ho sentito tanta umanità e tanta comprensione. Ma, soprattutto, ho provato e provo tanta frustrazione per non poter dare a tutti il meglio delle cure, perché i malati sono più di quanti se ne possano curare. Bisogna che la malattia rallenti, freni ed inverta la sua tendenza, perché ci sia di nuovo il tempo di curare tutti quelli che ne hanno bisogno (anche quelli che il coronavirus non ce l’hanno, ma hanno bisogno dell’ospedale lo stesso…e loro ci sono ancora, sapete?).
Ed è per questo che tutti devono sentirsi responsabili, devono capire che ciascuno è attore importante in questo percorso. Il buon senso ed il rispetto per se stessi e per gli altri da parte di ciascuno di noi potrebbe invertire l’andamento di questa epidemia in tempi brevi.
Ma serve davvero che tutti, ma proprio tutti si sentano fondamentali in questo percorso.
Perché lo sono.
Perché il loro rispetto di queste regole apparentemente estreme, ma giuste, potrebbe davvero salvare la vita di qualcuno.
La loro stessa, quella dei loro cari, oppure di uno sconosciuto.
Ma sempre una vita umana, preziosa ed unica”,
Foto: Gianluca Boari, medico nell’unità coronavirus in un ospedale della “bassa” lombarda.