Ci sono due anni di indagini dietro ai 4 arresti avvenuti nel Basso Veronese per la comercializzazione di falsi prodotti biologici. I dettagli dell’operazione “Top Bio” sono stati spiegati in una conferenza stampa tenutasi venerdì 16 novembre presso la caserma dei Carabinieri di via Salvo D’Acquisto, a Verona, alla quale hanno partecipato il Maggiore Livio Propato del nucleo tutela agroalimentare di Parma, e Biagio Morana, dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari di Verona.
Al centro dell’indagine l’azienda di Roverchiara Top Agri.
Frode in commercio l’accusa con la quale il gip Raffaele Ferraro ha disposto gli arresti per Marzio Soave, 58 anni, socio di maggioranza e di fatto amministratore della Soave Holding oltre che legale rappresentante delle società che fanno parte del gruppo Top Agri; per Silvia Pettenella, 44 anni, impiegata e persona di fiducia di Soave, per il marito Andrea Veronese, 44 anni,che si occupa delle pratiche relative alla conduzione dei terreni, dalla semina alla trebbiatura, e infine per Elia Zeminiani, 25 anni, responsabile della qualità nella Top Agri Spa.
Questi, tutti assistiti dall’avvocato Marco Pezzotti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti al gip Ferraro e restano quindi ai domiciliari.
Secondo quanto riferito dagli investigatori, al termine dell’attività durata circa 2 anni, l’azienda di Roverchiara avrebbe commercializzato prodotti coltivati in maniera convenzionale, con fitofarmaci e concimi non previsti nell’agricoltura biologica, e poi spacciati come “bio”.
In particolare le attenzioni degli investigatori si sono concentrate sulle aziende del Gruppo, sempre di Rovechiara, che risultano proprietarie di numerosi terreni in Italia e all’estero.
I loro prodotti cerealicoli però sarebbero stati “bio” solamente in apparenza, in quanto avrebbero usato dei prodotti fitofamarmaci, concimi, erbicidi, non conformi alla regolamentazione per aumentare la produttività, aggirando lo scoglio delle analisi con la cosidetta “miscelazione”, ovvero la mescolatura di granaglie che presentavano residui di fitofarmaci con altre partite a “residuo zero” con lo scopo di abbassare la quantità di sostanze non ammesse al di sotto del limite previsto.
Secondo gli inquirenti, l’azienda aveva pianificato la semina nei terreni distinguendo le zone coltivate normalmente con quelle a “residuo zero”, utili appunto per la miscelazione.
Una programmazione che avrebbe coinvolto anche le aziende produttrici di fitofarmaci e concimi: gli acquisti infatti sarebbero stati fatti sempre in “nero”, proprio per nascondere questo modus operandi.
Sarebbe stato il gruppo Manara di Ca’ degli Oppi di Oppeano il cui presidente Fabio Manara e il fratello Luciano sono indagati e colpiti da un’interdittiva di sei mesi dall’attività direttiva, a fornire i prodotti chimici per concimare.
Il tutto, con una contabilità «parallela» fatta di pizzini sequestrati nella sede della Top Agri nel corso delle perquisizioni dei giorni scorsi. Foglietti nei quali era stato annotato il quantitativo di fertilizzante utilizzato per un determinato ettaro di coltura.
Sarebbero state distrutte inoltre anche le bolle di trasporto di tali prodotti, per celare il più possibile la frode, mentre dall’estero alcune segnalazioni avrebbero indicato la presenza di sostanze “proibite” nella merce.
Il tutto sarebbe sempre sembrato in regola, viste le certificazioni in possesso delle aziende coinvolte, e durante la conferenza Biagio Morana ha fatto riferimento proprio a questo, sottolineando l’importanza dell’operazione proprio per la complessità della frode ipotizzata.
È una maxi-frode da almeno tre milioni di euro quella portata alla luce al termine di due anni di indagini dai carabinieri del nucleo tutela agroalimentare di Padova con la collaborazione dell’ufficio provinciale dell’Ispettorato Centrale Repressioni Frodi. «Ma non vi sono rischi per la salute» hanno tenuto a precisare.
Due gruppi leader sui rispettivi mercati, la Top Agri e la Manara che avrebbero creato una frode vorticosa, da almeno tre milioni di euro.
Con il primo che nel giro di tre decenni si è espanso dalle campagne del Basso Veronese, nei campi di mezzo mondo, dalla Romania al Marocco. Mille gli ettari coltivati sul suolo natìo, 10 mila quelli all’estero, in tutto 23,500 ettari tra quelli di proprietà e quelli in filiera, 50 i dipendenti, 4 terminal logistici.
E il secondo, il gruppo Manara, con un fatturato da 65 milioni e con Fabio Manara presidente anche della Compag, la federazione nazionale commercianti di prodotti per l’agricoltura.
È stata commentata anche dal ministro delle Politiche Agricole e Alimentari Gian Marco Centinaio, l’operazione contro il falso bio.
«Il nostro Paese è tra i leader europei del settore – ha detto – e sono sempre di più le persone che scelgono i prodotti biologici nelle loro case. È fondamentale quindi tutelare un comparto in continua crescita. Siamo al fianco delle imprese oneste e dei consumatori con controlli serrati. Questa operazione è un altro tassello che si aggiunge al grande lavoro quotidiano dei carabinieri del nucleo tutela agroalimentare e degli ispettori dell’Icqrf. Continuiamo su questa strada e non abbassiamo la guardia».
Foto: in alto, la sede di Top Agri a Roverchiara, in basso a sinistra Marzio Soave, socio di maggioranza e di fatto amministratore della Soave Holding; a destra la conferenza stampa tenutasi presso la caserma dei Carabinieri alla quale hanno partecipato il Maggiore Livio Propato e Biagio Morana.