Continua a far discutere il progetto di ampliamento dell’azienda F.I.R. di Roncà, specializzata nella produzione di materiali per l’isolamento termico. Al centro del dibattito, la proposta di costruire una nuova ciminiera nel cuore della Val d’Alpone, una delle aree più pregiate per la produzione del Soave Doc.

Il nuovo impianto, che dovrebbe trattare lana di roccia e raggiungere un’altezza di oltre 40 metri, incontra la netta opposizione dell’amministrazione comunale. Le preoccupazioni riguardano sia i possibili rischi per la salute pubblica, sia l’impatto paesaggistico e ambientale su un territorio fortemente vocato all’agricoltura di qualità.

Nei giorni scorsi, anche alcuni rappresentanti del Consiglio Regionale hanno espresso la loro disponibilità a sostenere le ragioni del territorio, valutando la possibilità di bloccare il progetto a livello regionale. Tuttavia, resta aperta la questione di quali strumenti normativi possano concretamente impedire l’autorizzazione dell’impianto.

A farsi avanti con una proposta precisa è il sindaco di Soave, Matteo Pressi (nella foto), che rilancia l’attenzione sulla tutela delle zone agricole di pregio.

«Roncà è una delle aree più vocate alla produzione del Soave Doc – spiega Pressi – e la conservazione di questo territorio rappresenta una priorità condivisa in tutto l’est veronese. Un impianto di questo tipo, per dimensioni e caratteristiche, non solo inciderebbe negativamente sul paesaggio, ma potrebbe anche compromettere la qualità e il valore delle produzioni agricole locali».

La proposta del primo cittadino si basa su una norma già esistente: la legge regionale 17/2022, che ha introdotto una mappatura delle cosiddette “zone agricole di pregio”, finalizzata inizialmente a limitare l’espansione degli impianti agrifotovoltaici. Secondo Pressi, quei criteri possono e devono essere estesi anche ad altri contesti.

«Quella legge è nata per salvaguardare le aree agricole di valore da insediamenti invasivi. Oggi possiamo e dobbiamo utilizzare quello stesso strumento per impedire la realizzazione di impianti industriali impattanti in territori che vivono grazie all’agricoltura. Parliamo di zone che, grazie allo sforzo di comuni e provincia, sono state già individuate con precisione. Non c’è ragione per non applicare le stesse tutele».

Oltre alle questioni ambientali e sanitarie, già regolamentate dalle normative in vigore, Pressi propone quindi di integrare l’iter autorizzativo con una valutazione più ampia, che tenga conto anche degli effetti indiretti sulle coltivazioni e sull’economia agricola locale.

«Quando si parla di impianti di questa portata – conclude – è fondamentale considerare tutti gli interessi in gioco. La salute pubblica è al primo posto, ma non possiamo ignorare il paesaggio, l’identità del territorio e il lavoro di tante famiglie che vivono di agricoltura. Ecco perché serve un cambio di passo: utilizziamo strumenti che già abbiamo, rafforziamo il ruolo dei Comuni e poniamo dei limiti chiari dove è necessario tutelare un bene collettivo».

Infine, Pressi lancia anche un appello istituzionale: «Oggi i Comuni non hanno strumenti efficaci per opporsi a questi insediamenti. L’autorizzazione spetta alla Regione, e noi sindaci, pur essendo il primo riferimento per i cittadini, ci ritroviamo con le mani legate. È frustrante, perché la popolazione si affida a noi, ma spesso non possiamo fare nulla».

 

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