Per celebrare il suo ventesimo anniversario, il Teatro Capitan Bovo di Isola della Scala si prepara a stupire il suo affezionato pubblico con due eventi straordinari che promettono risate, emozioni e riflessioni profonde.
Ottobre sarà un mese speciale con due appuntamenti da segnare subito in agenda.
Venerdì 11 ottobre, alle ore 21:00, Pierpaolo Spollon salirà sul palco con il suo esilarante spettacolo “Quel che provo dir non so”, mentre venerdì 25 ottobre, sempre alle 21:00, il sipario si alzerà con “Betoneghe se nasse, no se diventa” del Teatro delle Arance, una travolgente commedia in dialetto veneto che assicura risate senza sosta.
– “Quel che provo dir non so” di Pierpaolo Spollon, protagonista amatissimo di serie TV di successo come “L’allieva”, “Doc – Nelle tue mani” e “Blanca” porterà al Capitan Bovo un monologo irresistibile. Scritto insieme a Matteo Monforte e diretto da Mauro La Manna, in cui l’attore esplora con ironia e profondità il complesso mondo delle emozioni. In questo spettacolo Spollon accompagna il pubblico in un viaggio intimo e appassionante partendo da un quesito semplice ma universale: “Cos’è davvero un’emozione?”. Figlio di un commissario di Polizia e di una segretaria dell’Esercito Italiano, Pierpaolo mette a nudo se stesso, analizzando l’importanza di saper riconoscere, accettare e dare un nome a ciò che proviamo. Un percorso che, tra aneddoti personali e momenti esilaranti, tocca le corde più intime dello spettatore. “Quel che provo dir non so” è un’opera che parla a tutti noi, perché tocca il cuore di un’esperienza umana comune, quella delle emozioni, senza mai perdere il sorriso e la leggerezza.
– “Betoneghe se nasse, no se deventa” è la commedia del Teatro delle Arance, lo spettacolo di Giovanna Digito, all’insegna della comicità veneta, cattura il pubblico grazie alle avventure delle “betoneghe” e le loro chiacchere.
Le “betoneghe” sono tre donne riservate che “per puro caso” vengono sempre a conoscenza dei fatti degli altri; vorrebbero tanto non spettegolare, ma la loro natura le rende particolarmente colloquiali. “Essere betoneghe” infatti è un modo ben preciso di essere, di dire e di porsi con gli altri e Silvana, Renata e Franca lo sono. Spesso anche fuori dalle scene.
Raccontando fatti di vita quotidiana, le protagoniste catturano il pubblico al punto che si arriva a scordarsi di essere in un teatro, ma ci si sente proiettati in un ambiente familiare, in luoghi e situazioni di ogni giorno, che tutti – chi più o chi meno – frequentiamo. Si passa dalle liti con i mariti al mangiare e ingrassare, dal servizio di volontariato in parrocchia al sistemarsi dalla parrucchiera; insomma, tutto è solo un pretesto per poter sempre e solo “spettegolare”.
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