Complicità, divertimento, amori che nascono, amicizie che restano: c’è tutto questo nella Bohème, opera eternamente giovane, e molto di più, grazie alla musica più ispirata e toccante di Puccini.
Nel nuovo allestimento di Fondazione Arena, firmato da Stefano Trespidi con Guillermo Nova, Silvia Bonetti e Paolo Mazzon per scene, costumi e luci, lo spirito libertario della gioventù è rappresentato dalla rivoluzione giovanile del maggio 1968, a Parigi e in tutta la Francia.
Giovani e giovanissimi sono gli interpreti principali, già internazionalmente affermati, guidati dalla direttrice Alevtina Ioffe, al debutto veronese, con l’Orchestra e il Coro di Fondazione Arena e il Coro di Voci Bianche A.Li.Ve. Quattro le rappresentazioni, dall’11 al 18 dicembre.
Domenica 11 dicembre ore 15.30.
Mercoledì 14 dicembre ore 19.
Venerdì 16 dicembre ore 20.
Domenica 18 dicembre ore 15.30.
Puccini era un trentacinquenne di talento già legato all’editore Ricordi quando si mise a trasporre (liberamente) il romanzo Scene della vita di bohème del francese Henri Murger, litigando con l’affermato collega Leoncavallo che già stava scrivendo un’opera sullo stesso soggetto. Nonostante la corrispondenza burrascosa con i librettisti Illica e Giacosa, il Lucchese riuscì a finire il lavoro un anno prima di Leoncavallo e la sua Bohème, battezzata nel 1896 a Torino con il giovane Arturo Toscanini sul podio, lo consacrò definitivamente. Il successo fu grande anche se non immediato: come spesso succede con le novità, il consenso critico crebbe solo col tempo, di replica in replica, in tutto il mondo. Un successo ininterrotto anche areniano sin dal 1938, e quarant’anni dopo anche al Teatro Filarmonico, con i migliori interpreti del secolo, tra cui Tebaldi, Scotto, Di Stefano, Bastianini, Pavarotti.
La Bohème è un dramma realista, ma non verista, che accoglie la commedia e la quotidianità delle “piccole cose”, una storia scorrevole ed immediata che anticipa il cinema, ad opera di un compositore sempre al passo coi tempi. Per questo capolavoro che racconta la gioventù, Fondazione Arena ha scelto un cast internazionale di giovani talenti, alcuni al debutto veronese: dal Messico proviene la coppia di protagonisti: Mimì è il soprano Karen Gardeazabal e Rodolfo il tenore Galeano Salas, Musetta è il soprano Giuliana Gianfaldoni, Colline il basso Francesco Leone, Schaunard il baritono catalano Jan Antem; come Marcello si alternano i baritoni Alessandro Luongo (11, 16 e 18) e Andrea Vincenzo Bonsignore (14).
Caratterista di lusso è Nicolò Ceriani nel doppio ruolo di Benoit e Alcindoro; completano il cast Antonio Garés come Parpignol e gli areniani Francesco Azzolini, Jacopo Bianchini, Giovanni Gregnanin e Salvatore Schiano di Cola rispettivamente come Doganiere, Sergente alla barriera e Venditori nella gioia dell’affollato e memorabile quadro al Quartier Latino.
«La Bohème racconta anche l’emozione dell’incontro fra ragazzi: l’emozione di scoprirsi, stare assieme, come amici o amanti, per un po’ o forse per sempre – spiega il regista Stefano Trespidi – e per rappresentarla al meglio oggi, senza imitare l’insuperabile modello di Franco Zeffirelli (ancora in repertorio da sessant’anni), ho scelto una storia sempre parigina ma che fosse esempio di piazza gremita di giovani come acceleratore sociale. Come accade in Puccini e come accadde in Francia nel maggio del 1968, i cui slogan libertari citeremo esplicitamente, metafora ideale della forza e dei sogni della gioventù»
“Vietato vietare!”, “Godetevela senza freni!”, “La vita è altrove!” sono solo alcuni dei motti di allora, e di questi giovani in scena al Teatro Filarmonico, in una nuova produzione che rimarrà comunque fedele alla drammaturgia di Puccini, con echi e citazioni di fotografie d’epoca e film che hanno immortalato il ’68 (da Garrel a Bertolucci). Nelle scene di Juan Guillermo Nova, con i costumi di Silvia Bonetti e le luci di Paolo Mazzon, i giovani che condividono ideali artistici, sociali e politici, si spostano dalla soffitta dell’epoca di Luigi Filippo al movimentato atelier dove si immagina una rivoluzione in ciclostile, quindi al tradizionale Quartier Latino animato da una folla di coetanei; la barriera d’Enfer è il cantiere dell’Università di Nanterre, uno degli epicentri del ’68, mentre la scena finale, teatro della disillusione, del passaggio dalla gioventù alla maturità attraverso il dolore e l’amore immortale, è il ritorno dei giovani protagonisti nella casa borghese di provenienza.