Bevilacqua, Terrazzo, Minerbe, ma anche Legnago, Castagnaro, Bonavigo e Roverchiara presto saranno senza medici di base. Questo l’allarme lanciato dagli stessi dottori di Legnago che hanno visto aumentare esponenzialmente le richieste di presa in carico dei pazienti dai paesi limitrofi; e contemporaneamente si movimentano anche i pazienti legnaghesi che chiedono la riassegnazione appena subodorano il pensionamento imminente del loro medico curante.

Un’emergenza questa che conoscerà un picco tra agosto e settembre quando si prevede un calo ulteriore di medici di base dovuto al boom di pensionamenti in Veneto proprio in quel periodo.
Ecco qualche dato: «Tra quattro o cinque mesi ci saranno dai 5 ai 6 mila legnaghesi che probabilmente rimarranno senza medico di base e noi siamo già subissati dai nuovi pazienti provenienti dai paesi del circondario – riassume per tutti il dottor Angelo Guarino che, essendo anche consigliere comunale a Legnago, fa un po’ da capofila dei medici di base -. Non dimentichiamoci che ogni paziente porta con sè un carico di burocrazia che a questi livelli e con questi numeri non è più possibile gestire. La mole di lavoro per i pochi medici di base rimasti già ora sta diventando insostenibile».

Parlando con alcuni altri medici attivi sul territorio legnaghese pare che si stia diffondendo oltretutto il malcostume per cui alcuni colleghi di rifiutarsi di prendere in carico pazienti anziani, e quindi più problematici e difficili da seguire, in arrivo proprio tra le fila di questi “esodati”, privi di medico di base nei Comuni vicicini.

Anche il dottor Efrem Ferro, fiduciario della Fimmg (Federazione Italiana medici di medicina generale, il sindacato dei medici di base) conferma lo stato di pre allarme: «Qui a Legnago siamo invasi giornalmente da cittadini di paesi limitrofi che chiedono di essere presi in carico. Queste persone, in maggioranza anziani, dimostrano un senso di profondo disorientamento perché vengono da realtà dove sono stati costretti a cambiare anche tre medici in 2 anni. La prima cosa che ci chiedono è “Ma lei dottore rimane? O ha un incarico provvisorio? Dovrò cambiare medico un’altra volta?”».

Questa situazione si viene a creare, come confermano più fonti, innanzitutto per la mancata programmazione nelle assunzioni di giovani medici, nell’apertura e aumento dei posti a medicina o comunque nelle specializzazioni, una programmazione nazionale, ma soprattutto, pare, della Regione e quindi dell’Ulss di riferimento.
Per il sindacato dei medici di base rappresentato a livello provinciale dal segretario dottor Giulio Rigon e a livello locale dal fiduciario dottor Ferro la situazione è proprio quella descritta, ma soprattutto entrambi rimarcano il fatto che si tratta di una tragedia annunciata da almeno 15 anni. Da allora, infatti, si conoscevano i numeri dei medici che sarebbero andati in pensione con un effetto “bolla” che avrebbe dovuto esplodere (con mancanza conseguente di coperture) proprio negli anni tra il 2018 e il 2019. Parliamo dei medici assunti in gran numero dopo la legge 833 del 1978 (che mandò in pensione la figura del medico condotto) e che presumibilmente, avendo tra i 27 e 30 anni allora, avrebbero dovuto essere pensionati negli anni che stiamo attraversando.

«Era un calcolo che si poteva fare “con le dita”, ma c’è stata una falla 15 anni fa: è mancata la programmazione adeguata dall’alto – dichiara il dottor Ferro -. Ora le risorse per assumere medici ci sarebbero e parliamo anche di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza; in più dal Ministero e dalla Regione dovrebbero arrivare delle direttive per rinnovare la Medicina generale. C’è bisogno di più Aggregazioni Funzionali Territoriali (Aft) di medici, poli di medicina di comunità per aumentare la copertura oraria e riuscire a superare il carico burocratico aggiuntivo a paziente con personale di segreteria che lavori per più medici. Queste aggregazioni potrebbero essere rinnovate e costruite anche laddove non ci sono, ad esempio su Legnago – spiega il dottor Ferro -. Soltanto che in questi mesi ci troviamo in una fase di limbo. Esistono già decreti e direttive da Roma, sono pronti dei progetti per rinnovare la sanità territoriale; i fondi da sbloccare sono quelli del Pnrr, ma ad oggi mancano gli accordi tra Stato e Regioni da cui partirà la pianificazione degli interventi mirati.
Ecco perché i medici e le Ulss resistono e non prendono ancora iniziative particolari. Questi accordi dovrebbero essere raggiunti tra settembre e ottobre, quindi dovremo aspettare l’autunno per iniziare a vedere messe in campo soluzioni e strategie tangibili a fronte di questa emergenza».

Intanto, la Regione corre ai ripari con misure tampone che spesso gravano sui medici già in servizio: l’aumento dei posti di specializzazione per la medicina generale; l’aumento del massimale dei pazienti per medico che (su base volontaria e con un discreto aumento di stipendio) passa da 1500 a un tetto di 1800 pazienti con tutte le difficoltà burocratiche conseguenti; e poi c’è il ricorso all’esiguo manipolo degli specializzandi, che possono già prendere in carico dei pazienti, ma non più di ottocento a testa. Altra strategia per arginare l’emergenza è il ricorso a medici con altre specializzazioni cui l’Ulss propone incarichi provvisori in ambulatori di Medicina generale, sempre con un tetto massimo di 800 pazienti e contratti che si fermano a un anno (salvo proroghe).

Il dottor Guarino torna con forza sulla soluzione del problema a Legnago, invocando l’intervento dell’amministrazione comunale: «Con la riduzione del numero dei medici solo l’unione può fare la forza. Gli “one man show” del medico tuttofare non possono reggere; pensare ad un’Aft qui a Legnago è l’unica via. Vorremmo che l’amministrazione ci mettesse a disposizione un edificio dei tanti dismessi. Qui potrebbe trovare posto anche del personale ausiliario che possa svolgere degli esami in loco con i macchinari adeguati almeno per lo screening di base, ma soprattutto si snellirebbero le operazioni burocratiche e di segreteria che pesano sul lavoro dei medici».

Un tema di cui a Legnago si discute da anni. Ma anche stavolta è secca la replica del sindaco Graziano Lorenzetti: «È il Ministero che doveva pensarci e non ha programmato con lungimiranza ancora quindici anni fa. Così, siamo costretti a vedere i nostri giovani medici perfettamente formati andare ad ingrossare le fila della fuga dei cervelli mentre qui si rimane con gli ambulatori scoperti. L’autonomia regionale in materia sanitaria avrebbe permesso al Veneto, che ha due eccellenti poli universitari di medicina, di programmare meglio e far fronte al disastro, ma dipendiamo dalle scelte di Roma. Quanto all’Aft aspetto sempre che i medici legnaghesi si parlino, si accordino e mi presentino un progetto condiviso con numeri, dati e necessità reali. Di edifici da mettere a disposizione ne avrei già individuati due uno a destra e uno a sinistra Adige».

[Martina Danieli – Primo Giornale]

Foto: a sinistra, uno degli oltre 40 mila medici di famiglia in Italia (foto di repertorio) che in questo periodo hanno visto aumentare esponenzialmente le richieste di presa in carico di nuovi pazienti; a destra dall’alto, i medici Angelo Guarino,   Efrem Ferro e Giulio Rigon.