Questa “Storia di chi” è stata realizzata nell’ottobre del 2016 da Silvia Zanardi, giornalista professionista collabora con il Gruppo L’Espresso.
I luoghi e i personaggi raccontati in questa storia da Silvia non sappiamo se ad oggi siano ancora gli stessi, a noi piace riproporli com’erano allora.
La Storia
«La “Storia di chi” che vi racconto in questo articolo si svolge nel paese della Bassa veronese in cui sono cresciuta: Legnago.
Legnago è attraversato dal fiume Adige e abitato da circa 25mila persone; è famoso per essere il luogo natio del compositore Antonio Salieri, nonché sede dell’omonimo teatro; fra il 1815 e il 1866, è stato parte del famoso “Quadrilatero”, il sistema difensivo austriaco nel Regno Lombardo-Veneto che contava sulle fortezze di Legnago, Verona, Peschiera del Garda e Mantova, comprese fra il Mincio, il Po e l’Adige.
A San Pietro, in una frazione del paese, vive la famiglia Scapini, titolare di un’azienda agricola in cui frutta e verdura si vendono come una volta.
A poca distanza dai grandi supermarket e dal centro commerciale, qui i frutti e gli ortaggi compiono pochi metri di tragitto dal campo alla bilancia, e finiscono dritti nelle borse di chi spesso viene a fare la spesa a piedi o in bicicletta.
Vivono tutti insieme in una casa di campagna con un bel cortile all’esterno. Andrea con la moglie e i figli, Antonio e Giuseppina accanto.
La loro casa e il loro grande garage, che un tempo era il fienile delle tenuta, è vissuta in ogni angolo.
Non c’è spazio che non sia occupato da oggetti e testimonianze della vita rurale del passato, unite a quelle di un presente che insegue gli stessi valori e gli stessi ritmi.
Ma quello che non si vede da fuori, e da dentro, è la cantina/botola di Antonio: un piccolo “museo” avvolto nel buio, dove centinaia di oggetti del passato sono nascosti fra le botti, i tubi, gli imbuti e gli scatoloni.
Antonio ha costruito da solo questo seminterrato con il doppio scopo di servire da sostegno per riparare i motori di macchine e trattori e di essere usato come magazzino.
Dentro, c’è una piccola collezione di oggetti trovati nelle case in dismissione, nei mercatini e in casolari abbandonati.
Questa specie di vaso in terracotta si chiama “monaca” e, quando nelle case non c’era il riscaldamento, si usava per raccogliere le braci da appoggiare alla base del “prete”, la parte centrale di un telaio in legno con le stecche piegate ad arco. Adagiato sul materasso, il telaio teneva le lenzuola alla giusta distanza dalla fonte di calore, scaldandole quel tanto che serviva per alleviare le pene degli inverni gelidi.
La “monaca” veniva chiusa da un coperchio forato, generalmente in rame, e la si afferrava con un manico in legno. Sul perché di questo strano nome, la teoria più accreditata è che la forma del telaio, coperto dalle lenzuola bianche, facesse pensare alla presenza di un prete, o di una monaca con la tunica bianca, dentro il letto.
Fra le formule più “evolute” per scaldare le notti gelate, fino agli anni Cinquanta, c’era anche la “boule” in rame a forma di bottiglia, che veniva riempita con acqua riscaldata e messa sotto le coperte prima di andare a letto.
Riuscite a immaginare, invece, a cosa serviva l’oggetto qui sopra? A grattare…il formaggio. È un macina formaggio d’altri tempi, in uso fin dai primi del Novecento.
La grattugia presente all’interno è un rullo in legno con tanti fori e serviva anche a grattare il pane: le briciole, o il formaggio, finivano nel cassettino in basso.
E questa? Facile intuirlo: è una torcia della prima metà del Novecento, probabilmente usata in ambito militare.
Questa maschera, invece, veniva indossata dagli operai dell’industria chimica Anticromos, l’industria chimica tuttora in attività a Legnago.
Fra gli oggetti dalla collezione che Antonio tiene nel buio della sua cantina spuntano anche un vecchio compasso…
….un macina granaglie…
…e un’antica scatola in metallo che un tempo conteneva “pastiglie dissetanti”, e oggi conserva vecchi cavatappi, forbici e cacciaviti.
Dal “ripostiglio” pieno di vita viene fuori anche uno stampo in legno per forgiare un ferro di cavallo.
All’esterno della “botola”, in un’altra stanza, Antonio custodisce gelosamente anche alcuni vecchi trattori.
«Le storie del passato mi hanno sempre affascinato, – racconta Antonio – raccolgo questi oggetti perché voglio tenere traccia di come si viveva una volta. Poi, chissà, magari un domani trasformerò la mia collezione in un vero e proprio museo».
«D’altronde qui inizia a stare tutto un po’ stretto: non so più dove mettere i nuovi arrivati».
«In effetti nella nostra casa cominciamo ad avere poco spazio, – interviene Giuseppina sua moglie – ogni angolo è pieno di oggetti che rappresentano la nostra vita ma anche quella di chi ci ha preceduti».
Per chi viene da fuori entrare in questa casa, passeggiare nel cortile, perdersi nel garage e nelle stanze dell’ingresso è un’esperienza. Si respira una rara aria di pace, in un tumulto di oggetti che raccontano la lunga (e dimenticata) storia a cui tutti apparteniamo».
Foto: a sinistra, Antonio Scapini e il grande garage; a destra in basso, la giornalista Silvia Zanardi.