«Questo è un primo passo verso la giustizia, ma soltanto quando la verità verrà trovata la nostra Natasha potrà avere finalmente pace».
Così la mamma e la zia della vittima commentano la svolta andata in scena ieri in tribunale nella vicenda di Natasha Chokobok, la colf ucraina di 29 anni, madre di una bimba di 6, trovata senza vita sulle sponde dell’Adige a Legnago, poco distante dall’abitazione di Porto da cui era letteralmente sparita nel nulla tre settimane prima, il 9 aprile 2019, dopo essere uscita per gettare l’immondizia.
All’epoca, dopo quel tragico epilogo delle ricerche, l’autopsia disposta dal pm Stefano Aresu aveva escluso che si fosse trattato di una morte per causa violenta, avvalorando la pista del gesto volontario. Ma i familiari della giovane colf hanno sempre parlato di ‘omicidio’ e puntato il dito verso il presunto ‘marito violento’, l’operaio romeno di 35 anni Alin Rus che invece ha sempre detto di ‘amarla tantissimo’ respingendo ogni sospetto. – questo il racconto riportato sul Corriere di Verona da Laura Tedesco.
Ieri, nei confronti del compagno della vittima, il giudice per l’udienza preliminare Luciano Gorra ha sancito il rinvio a giudizio per i maltrattamenti di cui si sarebbe reso responsabile ai danni di Natasha per sette anni, dal 2012 al giorno della sua scomparsa, quel famigerato 9 aprile 2019 rimasto avvolto dal mistero.
In aula, c’erano sia la madre della 29enne, che si è costituita parte civile con l’avvocatessa Maria Anna Vacca, sia l’imputato, difeso dai legali Alessandro Trevisan e Antonio Zaffora secondo cui ‘la tragica fine della vittima non va in alcun modo messa in relazione con il marito’.
Due anni fa, il ‘giallo di Natasha’ tenne banco per settimane finendo anche in tv su ‘Chi l’ha visto?’ – racconta ancora La giornalista – e il convivente della colf, nonostante le accuse pubbliche dalla famiglia di lei, non si tirò indietro nel respingere in prima persona ogni sospetto: «Non riesco a credere che in giro si dica che le facevo del male, – negò Rusu ogni addebito – avevamo ancora tante cose da fare insieme, tanti sogni. Da qualche tempo pensavamo di avere un altro bambino».
Tutt’altro scenario invece quello che gli si contesta nel capo d’imputazione per cui ieri è stato rinviato a giudizio: per anni l’operaio l’avrebbe ‘picchiata a calci e pugni, costrin- gendola ad andare al pronto soccorso, sputandole addosso, insultandola, controllandole il telefonino, rendendole la vita insopportabile tanto che in almeno tre occasioni Natasha si allontanava di casa nel 2016, nel 2017 e il 9 aprile 2019», giorno della scomparsa.
Presunti maltrattamenti di cui il marito tenterà di difendersi al processo: «Saremo presenti a ogni udienza – annunciano la mamma e la zia Veronica -. Finalmente potremo parlare e raccontare a tutti la verità».
Foto: a sinistra, L’Adige a Legnago dove venne rinvenuto il corpo di Natasha Chokobok; a destra Natasha Chokobok, la vittima e Alin Rus, il marito accusato di violenze sulla donna.