“Si possono incenerire i Pfas? No. Mutano, si diffondono, costano”. È il titolo dell’inchiesta del Comitato di Redazione PFAS.land pubblicata il 18 febbraio e nella quale viene citata la città di Legnago e il suo territorio.
Ora, Non entrando nel merito di quanto riportato nell’articolo, che pubblichiamo, vorremmo, però, provare ad aprire una finestra per far entrare un po’ di luce. Niente di più.

L’ARTICOLO.
Da molti anni si profila all’orizzonte del Veneto una richiesta di linee di incenerimento molto superiore alla quantità di rifiuti prodotti nella stessa nostra Regione. In parole povere, un business sui rifiuti. E sulla salute della gente. Non solo: questa richiesta va in controtendenza con ciò che dovrebbe essere una politica che sia veramente ecologica e attenta al riciclo, al riuso, alla differenziazione degli stessi rifiuti, “non solo” civili, ma anche industriali.
Su questo ultimo super-ambito entra a spada tratta la questione molecole PFAS, sconfinando perfino – come scopriremo in questo pionieristico articolo – nei rifiuti civili, tanto sono diffuse e dotate di grande mobilità le sostanze in oggetto.

Il fallimento della termodistruzione dei PFAS aggiunge un nuovo ulteriore elemento che mette seriamente in discussione l’efficacia degli inceneritori di rifiuti – come quello proposto per Fusina (nel comune di Marghera – Ndr) – aggravando ancora di più la liceità liberticida di chi permette queste pratiche in zone densamente abitate.
Infatti, la diffusione dei perfluoalchilici attraverso le emissioni delle ciminiere rende estremamente e indiscutibilmente pericoloso questo tipo di impianti, oggi più che mai, dopo la “scoperta sociale” di queste sostanze, sostanze che hanno reso il Veneto protagonista di uno dei più grandi disastri socioambientali al mondo, quello delle Valli dell’Agno e del Chiampo.

Leggiamo l’importante premessa del Documento 49 del Ricorso al TAR depositato il 5 gennaio 2021 dal Comitato Opzione Zero, insieme con molti altri soggetti contrari al nuovo progetto (di Fusina Ndr) della società Ecoprogetto Venezia srl:
«La presente relazione tecnica si pone come obiettivo preliminare quello di esemplificare alcune nozioni di base in merito alle caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze PFAS, all’impatto che queste hanno sull’ambiente, e alla loro pericolosità per la salute umana e degli altri esseri viventi. […] La relazione illustra come il tema dello smaltimento di alcune tipologie di rifiuto (fanghi e percolati di discarica) oggetto della proposta progettuale autorizzata, sia strettamente connesso con il problema dell’inquinamento da PFAS in Veneto.
Sono inoltre evidenziate le carenze di istruttoria nella fase di valutazione di impatto ambientale, il non rispetto del principio di precauzione, nonché i gravi rischi derivati dal fatto che il Provvedimento autorizzativo unico regionale (PAUR) di cui al Decreto del Direttore dell’Area Tutela e Sviluppo del Territorio consente l’incenerimento di considerevoli quantità di fanghi di depurazione civile contaminati da PFAS nelle linee L1 e L2 senza gli approfondimenti e le precauzioni necessarie ai fini della protezione della salute pubblica e della tutela dell’ambiente».

La considerazione della impossibilità concreta di distruggere i PFAS con le alte temperature mediante inceneritori – problema inserito dal presidente Biden tra i primi da risolvere appena insediato, specie per le schiume antincendio – investe oggi la ricerca scientifica tout court, concentrata sulla scoperta di nuove molecole non tossiche da sostituire ai PFAS e alla relativa messa al bando delle stesse (più che semplicemente a “limitarle”), come sta capitando nei paesi del Nord Europa.

La presenza dei PFAS anche nelle acque di scarico trova in queste nuove constatazioni sulla loro indistruttibilità nuove solide argomentazioni per richiedere con forza l’attuazione in ottica sistemica del Patto Accordo Stato Regione 2005 (mai ottemperato, specie nella valli della concia e del Tubone Arica) per la protezione delle acque e la verifica del mancato rinnovo del piano rifiuti da parte della stessa Regione Veneto.

Le Amministrazioni regionali insieme con Confindustria e altre parti produttive della Regione Veneto (Coldiretti compresa) finora sembrano aver navigato a vista solo dei profitti, a scapito della salute delle popolazione che realmente abita i territori. Profitti spesso in mano a forze multinazionali, come Eni, Miteni, Montedison dimostrano. L’inceneritore di Fusina va quindi bloccato.

Di più: legato al fallimento dell’incenerimento si apre un’altra inquietante questione che finora era rimasta sopita nelle discariche e nei filtri a carboni attivi. Noi tutti sappiamo che nelle discariche – ad esempio di Torretta e di Pescantina, per fare il nome di due tra le più importanti – afferiscono fanghi (v. Documento Arpav in calce) che producono percolati; fanghi e percolati la cui fine per anni è stato l’incenerimento, spesso in altre regioni, quando non venivano avviati ad essere trasformati in ammendante compostato da spargere nei campi.

Lo stesso avviene per la parte non-rigenerata, esausta, delle tonnellate di carboni attivi che sono utilizzati per purificare le acque potabili dai PFAS nelle aree contaminate: dopo il trattamento di rigenerazione a vapore pressurizzato i reflui vengono avviati nel “migliore dei casi” all’incenerimento, come avviene regolarmente ad opera di un’azienda nel centro di Legnago.

Lo stesso trattamento termico dei Carboni Attivi Granulari (GAC) secondo studi recenti mostrano criticità di temperature e di processo che mette in discussione la pertinenza di impianto di queste aziende “termovalorizzatrici” (v. Ricerca Springer Japan 2016 in calce), oltre all’inquinamento atmosferico.
Miteni stessa gestiva tonnellate di carboni attivi per la sua barriera idraulica e aveva un “vecchio” inceneritore al suo interno.

Resta aperta la questione della firma dell’Assessore Bottacin per un nuovo co-generatore a metano, nel luglio 2017, in piena emergenza PFAS (v. Andrea Zanoni), nonostante il parere contrario della ULLS 8 (v. Cristina Guarda) e la richiesta da parte dei cittadini (interrogazione di Sonia Perenzoni) sulle emissioni in aria, avvenuta sempre nel 2017.
L’Arpav stessa consegna uno studio tardivo nel 2019, a fabbrica chiusa, richiamando uno studio preliminare del 2017 che attesta che Miteni “bruciava” PFAS in grande quantità, “nascondendo” nell’unità di misura del primo documento – picogrammi al posto di nanogrammi – e in un’indefinita area urbana generica le conclusioni di questa impressionante risultanza, alleggerendo l’impatto per le popolazioni di Trissino e Montecchio, dove il livello di tumori è molto alto, come a Legnago.
Restando all’unità di misura “svelata”, i dati di immissione del maggio 2017 segnano 6270 picogrammi metri cubo del temibile allora “sconosciuto al popolo” PFBA, dando ulteriore prova della lavorazione dei catena corta, GenX e C6O4, con il consenso della Regione, dati alla mano.

Cosa si deduce quindi? Che con il ciclo carboni attivi-rigenerazione-fanghi-incenerimento si mette in pratica questo paradosso: si pulisce/potabilizza l’acqua dai PFAS – spendendo milioni di euro – per riconsegnarli in aria (mediante un camino) o negli alimenti (spargendoli come concime nei campi, già sottoposti ai depositi via aerea).
Creando una platea enorme di potenziali ospedalizzati. Una specie di “economia circolare cancerovirtuosa” – cancerogena, ma virtuosa – una green ecomomy sanitaria che non uccide se stessa perché produce profitti per gli ospedali e per le cure, per i costosissimi filtri “sociali” e fisico-chimici (i GAC citati) alimentando il core business dei soliti noti, “vivificando” l’economia di grande scala.

È ora di cambiare passo, di passare dalla tanto retorica “transizione ecologica” alla improcrastinabile “imposizione ecologica”, specie contro i grandi produttori. La “rivoluzione ecologica” non può essere una transizione in mano alla finanza. Tanto meno a chi ha distrutto ecologicamente la Regione Veneto.

Ringraziando i vari collaboratori nel passarci e nell’elaborare il prezioso materiale, tra cui Marco Caldiroli (Medicina Democratica), Franco Rigosi (già Arpav), Laura Facciolo (Mamme No Pfas. Montagnana), Giovanni Fazio (Cillsa. Arzignano), Mattia Donadel (Comitato Opzione Zero, Venezia).

Comitato di Redazione PFAS.land
Organo di informazione dei gruppi-comitati-associazioni NO PFAS della Regione del Veneto