Ieri, domenica 25 ottobre, mentre il premier Conte comunicava il nuovo Dpcm che ci accompagnerà nelle prossime settimane fino al 24 novembre, a Isola Rizza e a San Pietro di Morubio i cittadini si esprimevano, dalle ore 7 alle ore 23, su quello che doveva essere il referendum relativo all’istituzione del nuovo comune denominato “Borgo Veronese” mediante fusione dei due comuni.
Il verdetto è inequivocabile e non lascia spazio a ripensamenti: a Isola Rizza la percentuale dei votanti è stata del 51,04%, i “Si” sono stati 312 mentre i “No”, più del triplo, cioè 1.068; a San Pietro di Morubio non si è raggiunto nemmeno il quorum, arrivando al 39,31 dei votanti, di questi 702 hanno votato “Si” mentre i “No” sono stati 267.
La neo vice presidente del Veneto ed ex sindaco di Isola Rizza Elisa De Berti qualche giorno fa aveva manifestato il timore che potessero vincere i “No”: «Non credo che il referendum passerà, – aveva pronosticato – anche perché è un passaggio notevole, e spesso i cittadini non ne comprendono il valore; l’unica cosa che mi dispiace è che si perde una grande occasione».
Ora, a prescindere dai tanti commenti che inevitabilmente ci saranno sul campanilismo dei veronesi, sulle opportunita perse, sulla poca lungimiranza amministrativa e politica degli isolani e morubiani, (film già visto con Angiari e Legnago, ma allora la paura degli angiaresi era quella di diventare un feudo al servizio della città di Salieri), viene da chiedersi perché i sindaci Boninsegna e Vincenzi, essendo a contatto tutti i giorni con il loro territorio, non abbiano da subito avuto sentore del naufragio di questo progetto che era nell’aria fin dall’inizio, oltre un anno fa, ed evitare ai loro cittadini questa inutile rappresentazione di due campanili della Bassa.
Foto: a sinistra, Borgo Veronese il paese che non ci sarà; a destra dall’alto, Corrado Vincenzi sindaco di San Pietro di Morubio e Silvano Boninsegna sindaco di Isola Rizza.