Anche la Land Art celebra i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri con una maxi opera di 25mila metri quadrati realizzata su un terreno agricolo a Castagnaro, dall’artista Dario Gambarin.
E’ il più grande ritratto al mondo del sommo Poeta, spiega Gambarin, che sotto al profilo dell’autore della Divina Commedia ha tracciato anche il finale: “Amar Perdona”, del celebre verso del V canto dell’Inferno.
Il maxi-ritratto è stato realizzato, come tutte le opere di Gambarin, con trattore ed erpice rotante direttamente sul campo, senza disegno preparatorio. L’opera vuol essere un invito a rileggere la Divina Commedia in questo difficile momento storico.
«Sembra che dopo settecento anni non sia cambiato niente – dice Gambarin – rimane solo la speranza che l’arte, la bellezza e l’amore possano muovere il sole e tutte le altre stelle».

Chi è in realtà Dario Gambarin pittore e Land Artist veronese di Castagnaro.
L’artista stesso si racconta in questa intervista di qualche anno fa, ma ancora attualissima, ad opera della rivista Italian Land Art.

Dopo aver esercitato la professione di avvocato, Gambarin frequentò diversi studi artistici che lo portarono al conseguimento del Diploma all’Accademia Clementina di Belle Arti, all’ottenimento non solo di una laurea al Dams in Arte e psicopatologia, ma anche di una specializzazione ulteriore in Relazioni industriali e del lavoro e, alla vincita di una borsa di studio come ricercatore all’Università della California e infine all’abilitazione come psicoterapeuta.

Come sostiene Jean Cocteau: un artista non può parlare della sua arte più di quanto una pianta possa discutere di orticoltura.
Così si apre l’intervista con l’artista Dario Gambarin che ha voluto presentarsi ironicamente, senza prendersi troppo sul serio.

Qual è la motivazione che l’ha spinta ad avvicinarsi alla Land Art?
Innanzitutto io nasco come pittore, la Land Art è solamente una parte della mia attività artistica. Per me, le arti infatti si compenetrano l’una con l’altra e a mio parere, senza la pittura è impossibile la seconda e viceversa. Alla base di queste diverse modalità espressive vi è l’immaginazione, l’unica e fondamentale chiave d’accesso al mio mondo. Inoltre per potersi dedicare alla Land Art bisogna conoscere dettagliatamente la terra. Le mie performance devono essere compiute nell’immediato, dunque non è possibile nessun margine d’errore.

Qual è la tecnica attraverso la quale esegue le sue opere?
Si tratta di un’operazione parecchio complessa e caratterizzata da diverse fasi. Innanzitutto determino il soggetto che voglio realizzare. In seguito traccio uno schizzo preparatorio su un foglio, il quale solo in un secondo momento diviene un progetto concreto e ben definito. A questo punto memorizzo il disegno ottenuto per un po’ di tempo in modo da fissarlo mentalmente. E’ questa la fase cruciale di tutta l’esecuzione, poiché mi devo concentrare unicamente su quest’immagine mentale.
Una volta che mi sento pronto mi dirigo sul campo, che ho precedentemente scelto e, dopo essere salito sul trattore inizio a girare lungo il terreno, ripassando ancora una volta mentalmente tutte le azioni che dovrò svolgere. Con il trattore giro a vuoto sul campo prendendo confidenza con lo spazio. Infine entro in una sorta di trance artistica e solo in quel momento abbassando il trattore, e in poi solcherà il terreno, realizzo la mia opera di Land Art.

Attraverso quali criteri sceglie i campi nei quali lavorare? E in che periodo dell’anno lavora?
Inizialmente utilizzavo dei campi di qualche amico o li chiedevo in prestito, ma oggi preferisco essere lasciato libero di poter esprimere la mia arte, dunque utilizzo unicamente i campi della mia famiglia, così da potermi prendere tutto il tempo necessario.
La mia è un’operazione ecologica, in quanto non distruggo i raccolti dei campi in cui lavoro. La stagione prediletta è quella estiva, sia perché in questo periodo gli agricoltori raccolgono i prodotti coltivati per poi ridistribuire la semina in autunno, nel momento in cui io termino le mie operazioni, sia perché l’estate e i suoi colori sono i più propizi e quelli che riescono a far risaltare maggiormente le mie opere.

Come ci si sente ad essere l’unico artista al mondo a praticare questa tecnica, e a esserne in qualche modo il pioniere?
Da giovane non avrei mai potuto pensare di arrivare a realizzare un’operazione simile. Da quello che ho potuto imparare grazie alla mia carriera è che il background di una persona è essenziale per la sua successiva attività. Io sono arrivato a eseguire delle opere tali grazie ad una buona formazione artistica di base, ma soprattutto grazie all’approfondita conoscenza della terra, trasmessami da mio padre. E’ dall’età di cinque anni che sono salito sul trattore e mi sono appassionato a questa tecnica. Come dice Pasteur infatti sono convinto che il caso favorisca solo una mente preparata.

Quindi nella sua operazione è stata determinante in qualche modo la figura di suo padre. Egli l’ha appoggiata in quest’attività o era contrario?
Inizialmente mio padre non mi sosteneva, avrebbe preferito per esempio che io diventassi un avvocato, suggerendomi di mettere “l’arte da parte..”, In realtà in punto di morte mi ha dato la conferma di essere fiero dei miei lavori.
Un giorno entrai in crisi, proprio quando ero alle prese con la realizzazione del ritratto di Nelson Mandela, poiché proprio nel bel mezzo dell’esecuzione l’aratro si spezzò e, dato che mio padre era morto da poco mi bloccai e pensai che si dovesse trattare di una sorta di precognizione. Dunque in quell’istante mi ripromisi che quella sarebbe stata la mia ultima opera. Per fortuna circa un’ora più tardi tornai nuovamente lucido e mi ripresi. Tuttavia dovetti portare a termine il lavoro con un altro aratro, di dimensioni più piccole rispetto al primo. Grazie a questo espediente, puramente tecnico, i tratti del volto di Mandela sono divenuti più raffinati e hanno ringiovanito questa monumentale figura (ride).

Che emozione prova a vedere le opere finite? E’ mai rimasto deluso?
Io posso vedere le mie opere solamente quando il pilota di un aeroplano, il quale durante la mia esecuzione si è sollevato in volo, accompagnato da un fotografo per registrare dall’alto la mia operazione, atterra e mi mostra il risultato. Io, come detto in precedenza, immagino qualcosa, vedo lo spazio e cerco di realizzare la stessa, dunque non vedo nulla. Sono come un pittore cieco, che può esclusivamente affidarsi all’immaginazione. È una costante sfida tra quello che immagino e ciò che in concreto realizzo. La soddisfazione più grande sta proprio nel verificare se vi sia una corrispondenza tra la mia immaginazione e l’opera finita.
Non sono mai rimasto deluso, anche se qualche volta ho riscontrato delle piccole differenze rispetto a ciò che mi aspettavo. Per esempio proprio nel 2016 ho eseguito il Cristo Redentore in onore delle Olimpiadi di Rio. Si trattava di un’opera parecchio complessa, in quanto scelsi per la sua messa in opera un terreno di 47 mila metri quadrati, dunque molto più esteso rispetto alle mie opere precedenti (di circa 20/30.000). Una volta osservata la fotografia mi accorsi che vi era un errore nel volto di Cristo, tuttavia mi rimisi subito al lavoro per correggere l’anomalia riscontrata e diedi alla figura la fisionomia di un Indios. E’ proprio questa particolarità che oggi mi fa apprezzare così tanto quest’opera.
L’emozione che provo nel realizzare questi ritratti è indescrivibile. Sono convinto che solamente attraverso l’emozione si riesca a concretizzare un buon risultato. Nel mio caso riesco infatti a capire che si tratta di un buon lavoro unicamente nel momento in cui osservandolo mi sento molto soddisfatto.

L’opera a cui è più legato o particolarmente significativa per lei?
Molto probabilmente nutro un certo legame per l’opera Pinocchio 2011. In essa possiamo vedere un immenso Pinocchio al cui naso ho appeso le quattro monete principali, dunque l’euro, il dollaro, lo yen e la sterlina. Per rendere l’opera più complessa ho inoltre disposto davanti agli occhi del burattino un grafico che segna l’andamento della borsa. Mentre i soggetti degli altri ritratti erano legati ad un evento preciso, in questo caso si tratta di una mia personale anticipazione degli eventi. Sono riuscito a prevedere qualche tempo prima, che da lì a breve, la borsa sarebbe crollata portando inevitabilmente ad un allargamento della crisi finanziaria. Dal punto di vista estetico invece, sono molto soddisfatto di come siano venuti il ritratto di Hilary Clinton, Fidel Castro e il Papa. La veste di quest’ultimo è risultata perfettamente bianca, grazie all’utilizzo di un terreno sabbioso.

Quanto influiscono le sue altre passioni, come per esempio la musica, in queste performance?
La musica è strettamente connessa al mio lavoro. Soprattutto se si considera il concetto di ritmo. Il ritmo del trattore che muovendosi scandisce il tempo lo trovo molto simile al ritmo musicale.

Infine, lei ha affermato che il suo modo di lavorare può essere assimilato alla psicoterapia. In che senso l’arte e la terapia posso essere accomunate?
Si tratta di due arti o meglio due ambiti assai differenti tra loro. Infatti la mia operazione artistica è molto più complessa della psicoterapia. Quest’ultima si occupa unicamente di analizzare le parole e i racconti del paziente. La mia esecuzione invece si deve occupare nello stesso momento di esaminare diversi elementi. Tra questi lo spazio, la natura, provocando così un’amplificazione delle mie percezioni. Quando mi trovo sul mio trattore vivo una sorta di unione profonda con il mondo, simile alla filosofia zen. Si tratta in pratica di una sorta di terapia che mi consente nel momento dell’esecuzione di ampliare il mio modo di pensare e la mia visione del mondo.

Infine Dario Gambarin ha voluto concludere l’intervista con un suo bellissimo pensiero.
«Costruire i significati di un’esistenza è molto difficile. L’arte è il mezzo elettivo di sintesi di significati. Oggi bisognerebbe educare le persone ad usare un linguaggio preverbale (musica e arte visiva). Significativo è il contatto con la natura depositaria di strutture Gestaltiche che danno compattezza alle insidiose oscillazioni del pensiero».