L’associazione Ville venete dell’Adige è nata da pochi mesi. Ha come obiettivo la valorizzazione di un patrimonio secolare e diffuso sul territorio. Presidente è l’architetto veronese Angelo Grella, di base ad Angiari, che è stato nominato anche vicepresidente di Assopatrimonio, l’associazione del patrimonio d’Italia. Tre le parole chiave: tutela, conservazione, valorizzazione.

Qual è l’obiettivo dell’associazione?
L’associazione nasce con l’obiettivo di valorizzare le ville venete dell’Adige. Un territorio inteso come bacino idrografico dell’Adige, che comprende il corso principale e il territorio che ci sta intorno. Parliamo delle province di Verona e Rovigo interamente, parte di quelle di Vicenza e Padova, e tre comuni nel Veneziano.
Siamo convinti che tutto questo territorio, a parte la Valpolicella e il lago di Garda, non sia adeguatamente conosciuto e valorizzato dal punto di vista turistico. Si stanno sviluppando negli ultimi tempi percorsi enogastronomici, cicloturistici e ippovie: è il momento adatto per far conoscere anche le ville venete dell’Adige, circa 1900 catalogate dall’Irvv, Istituto regionale ville venete.

Cosa intendiamo per “villa veneta”?
Sono stato per cinque anni nel consiglio di amministrazione dell’Irvv e ci siamo interrogati su questo punto. Abbiamo tenuto le maglie piuttosto strette, perché non possiamo mettere a catalogo tutti gli edifici “vecchi”, ma non possiamo nemmeno escludere tutte le ville venete minori, che sono numerose e caratterizzano come segno identitario un territorio.
Abbiamo individuato sette criteri: gli edifici che ne hanno almeno quattro rientrano nella catalogazione di villa veneta. Sono criteri di studio, per esempio l’impianto planimetrico, il periodo d’origine, luogo preciso d’origine.

Qualche esempio?
Per quanto riguarda il luogo d’origine, le ville sorte già all’epoca all’interno di un contesto urbano non sono ville venete. La villa è tale in quanto luogo di conduzione di un fondo agricolo. Ovviamente può capitare che il paese si sia allargato e l’abbia inglobata, ma ciò che conta è la posizione originaria. Per quanto riguarda la datazione si va dall’inizio del Quattrocento fino al 1799, ovvero la data della caduta della Serenissima.
Esistono anche ville venete ottocentesche, ma quasi sempre sono rielaborazioni di siti già esistenti. La villa veneta nasce con la Serenissima, e quindi muore con la Serenissima.
Era importante mettere dei paletti ben precisi per la catalogazione. Anche dal punto di vista architettonico, nonostante possano esserci variazioni: le ville venete in Valpolicella hanno molte differenze da quelle nella zona di Adria.

Quante sono le ville nel territorio?
Con l’Irvv abbiamo pubblicato un catalogo in più volumi di tutte le ville venete, censite per provincia. Un volume a provincia, e un volume per il Friuli-Venezia Giulia, in quanto l’istituto copre entrambe le regioni. Solo in provincia di Verona sono oltre 600. Sono 1900 le ville venete dell’Adige e oltre 4mila e 200 in totale.

Chi ha in mano tutto questo patrimonio?
Non abbiamo ancora dati precisi sulle ville venete dell’Adige, in quanto la nostra associazione è nata da poco. Per quanto riguarda Veneto e Friuli-Venezia Giulia, sulle 4200 ville, circa l’85 per cento è di proprietà dei privati, il restante 15 è diviso fra enti pubblici e religiosi. Non più del 60 per cento sono vincolate dalla soprintendenza.
Il fatto che la grande maggioranza sia in mano ai privati, per tradizione, per tramando ereditario o anche per nuovo acquisto, comporta un grosso problema per la valorizzazione. Innanzitutto un problema economico.

I privati riescono a mantenerle?
L’associazione Ville Venete dell’Adige ha aderito ad Assocastelli e Assopatrimonio. Con queste associazioni ci si pone il problema di valorizzare questo patrimonio, anche sotto il profilo economico.
L’obiettivo non è “fare business” sulle ville. Se però non riusciamo a trovare una destinazione d’uso che possa permettere alle ville di mantenersi nel tempo, anche restaurandole tutte, andranno di nuovo in disuso e in rovina.
Anche le leggi nazionali hanno ormai recepito questa logica. Si parla sempre di tutela, conservazione e valorizzazione. La tutela prevede la conservazione, ma senza la valorizzazione non hanno senso tutela e conservazione.

Cosa significa “valorizzazione”?
Nella valorizzazione ci può stare un po’ di tutto, l’importante è trovare un rendimento che permetta nel tempo la manutenzione. È l’unica strada per conservare e tramandare il patrimonio alle generazioni che verranno.

Nella pratica? Mi viene in mente la “villa per matrimoni”.
È una delle strade più percorse. Quando si sistema una villa con l’obiettivo di organizzare matrimoni, può essere usata anche per ricevimenti di altro tipo, eventi aziendali, manifestazioni di tipo gastronomico.

Non è un sacrilegio organizzare eventi in luoghi così ricchi di storia?
Assolutamente no. Il problema non è tanto il tipo di destinazione, l’importante è che siano destinazioni continuative, in grado di permetterne la conservazione. Non tutte hanno affreschi tali da renderle dei musei. Quasi tutte però hanno una struttura affascinante già di per sé. Per rendere sostenibili queste ville bisogna renderle visitabili, accessibili, fruibili: per un matrimonio, ma anche per la sagra dei osei. L’importante è farle conoscere, nutrire il senso di appartenenza di quella villa a quel territorio.

In che senso l’appartenenza?
La villa veneta non è un gioiellino calato dall’alto: le ville sono il frutto di una sistemazione fondiaria, di bonifiche fatte dai veneziani, dai padovani e dai veronesi. Le ville sono espressione del territorio, non sono state disseminate qua e là solo per bellezza.
Questo è un punto importante. Se riusciamo a farlo capire anche attraverso la scuola e gli operatori di un territorio, poi anche la popolazione sentirà quel rapporto di appartenenza.

Con la pandemia si sta parlando sempre più di turismo di prossimità, percorsi ciclistici e pedonali. Possono essere una leva da sfruttare?
Ci stiamo lavorando, insieme alle tante associazioni che si occupano del territorio, del turismo di prossimità, o di percorsi in generale. Con l’associazione diamo importanza a una gestione manageriale ed economica delle ville, cercando di inserirle in percorsi di mezza giornata, o anche di uno e due giorni: così il visitatore ha l’opportunità di conoscerle.

Nella gestione delle ville com’è il rapporto con le istituzioni? Solo burocrazia?
Fino alla fine del Novecento c’è stato un rapporto con le istituzioni, ad esempio con i comuni, pressoché di indifferenza. Soprattutto nei comuni piccoli, a causa di una scarsa conoscenza del tema. Magari la villa veniva usata per fare le foto del calendario della Pro Loco e dopo due mesi il consiglio comunale votava l’ampliamento della zona artigianale a ridosso della stessa.
Nei primi anni Duemila sono cambiate molte cose. La nuova legge urbanistica regionale ha reso obbligatorio segnalare con un simbolo dedicato le ville, catalogate dall’Irvv, nei nuovi piani urbanistici. C’è una sensibilità che cresce ora anche fra gli enti locali. Alcuni comuni veronesi, vicentini e rodigini hanno aderito alla nostra associazione.
Anni fa le ville erano viste dagli amministratori come elemento di disturbo nella gestione dell’urbanizzazione. Ora invece capiscono il valore e le potenzialità di queste strutture. Cambia il punto di vista e quindi la prospettiva. Le ville non sono più problema, ma un’opportunità.

I privati riescono a loro volta a comprenderne il valore?
Sì. Come si sono evoluti i gli enti locali, si sono evoluti anche i proprietari privati. Gran parte di quelle ville non sono più il punto di riferimento di un fondo agricolo, ormai andato disperso in molti casi. Quindi i proprietari capiscono di dover investire nel loro bene per valorizzarlo. C’è una buona sensibilità sia nei vecchi proprietari, sia nelle nuove generazioni subentrate. I proprietari devono però avere i fondi necessari per sistemare queste ville. In questo senso l’Istituto regionale ville venete dà una grossa mano. Ad esempio con l’ultimo bando approvato in aprile mette a disposizione mutui a tasso zero fino a 300mila euro per ogni stralcio funzionale dei lavori di sistemazione delle strutture. Inoltre mette a disposizione contributi a fondo perduto fino al 30 per cento, per massimo 150mila euro, per i lavori sugli elementi più fragili ed esposti come serramenti, statuaria, contorni in pietra, pavimenti. Lavori non strutturali ma complementari. Con questi aiuti, oltre alle deduzioni fiscali e ai bonus statali, ci sono le possibilità economiche per fare i lavori, con una gestione oculata delle risorse. Inoltre per gli edifici vincolati c’è la legge nazionale che permette la detrazione fiscale del 19 per cento su tutti i lavori di manutenzione.

Qual è in generale lo stato di conservazione delle ville? Serve molta manutenzione?
L’ideale utopistico sarebbe il superamento del concetto di restauro e arrivare a quello di manutenzione: significherebbe avere tutti gli edifici sistemati in maniera adeguata, da conservare nel tempo con la giusta manutenzione.
Visti anche i materiali con cui sono state costruite, non è detto che le ville abbiano bisogno di maggiore manutenzione rispetto ad altri edifici. I costi possono essere maggiori per le grandi dimensioni. Un esempio pratico: un proprietario mi spiegava preoccupato che quasi tutti i contributi dell’Irvv si esaurivano per un ripasso dei tetti. D’altra parte aveva oltre 4mila metri quadrati di tetti.

Tornando ai proprietari pubblici, nella pratica poi si attivano per la valorizzazione?
Come dicevo, ora comprendono l’importanza delle ville, e un bel lavoro di valorizzazione fa anche ben figurare l’amministrazione. Per esempio, il Comune di Colognola ai Colli mi ha incaricato di sistemare una barchessa della Villa Acquadevita, da utilizzare per manifestazioni, proiezioni, eventi. Ovviamente l’ideale sarebbe sistemare tutta la villa, ma bisogna pur cominciare.

Come si procede in un lavoro di sistemazione? Fin dove ci si può spingere?
Il mio studio, per fare un esempio pratico, era un fienile. Abbiamo messo due vetrate, un soppalco, ed è diventato uno studio professionale. I puristi non storcono più il naso per operazioni di questo genere. Una volta dicevano che un fienile deve restare un fienile e una chiesa deve restare una chiesa. Ma ormai anche le sovrintendenze hanno capito che il punto non è cosa si fa, ma come. Un intervento come questo, dove togliendo le vetrate si riporta a tutto all’origine, da un punto di vista etico e culturale non intacca in maniera irreversibile la struttura. Se un domani per assurdo volessi riportarlo allo stato originale, mi basta togliere tutti gli elementi aggiunti, che sono in vista, e potrebbe tornare ad essere un fienile. C’è una filosofia ben precisa anche nel fare i lavori. Sono strutture che meritano rispetto. Dobbiamo conservarne lo stato e se possibile tramandarle in condizioni migliori. Questo è un concetto che arriva dagli antichi, dal latino tradere. Portare avanti, consegnare. È un tema importante, perché in un periodo in cui le costruzioni nuove sono sempre meno e aumentano i restauri, ci sono professionisti che si spacciano per esperti. Bisogna però fare attenzione e affidarsi a professionisti seri. Per questo siamo impegnati anche con Federestauro, la Federazione italiana delle imprese e delle professioni del restauro.
A volte è meglio lasciare che il tempo faccia il suo corso, piuttosto che intervenire con cattivi restauri. Il tempo può fare dei danni, ma un cattivo restauro toglie l’identità che un domani non sarà più possibile ripristinare.

[Alessandro Bonfante – Daily]

Foto: a sinistra in alto, una Villa Veneta adibita ad eventi; in basso, lo studio dell’architetto ricavato in un fienile ad Angiari; a destra Angelo Grella presidente di Ville Venete dell’Adige.

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