La lunga vicenda giudiziaria, promossa dalla Fiom di Verona contro l’Azienda Sime S.p.A di Legnago, che aveva disdettato la contrattazione aziendale e di conseguenza privato i lavoratori della retribuzione derivante (quasi 6.000 euro annui), sta con gli anni arrivando a conclusione. E per quanto emerge ed è emerso, la conclusione sia nel giudizio di primo grado che per l’appello è sempre stata sfavorevole a Sime.
Il 14 novembre il giudice della Corte Appello a cui si è rivolta Sime, nel tentativo di ribaltare la sentenza di primo grado emessa il 7 dicembre del 2017, ha rigettato l’appello dell’Azienda condannandola anche alle spese di giudizio.
«Sime ha da tempo assunto la decisione di spendere soldi per foraggiare gli avvocati piuttosto che mantenere ai lavoratori la loro retribuzione o ricercare un accordo con il sindacato che ponga termine a queste vertenze. – sottolinea Emanuela Mascalzoni della Segreteria della Fiom Cgil di Verona – Ma con questa dirigenza gli accordi sindacali, anche quelli che riguardano l’organizzazione del lavoro, sono ormai un miraggio lontano. Nemmeno per gestire l’uscita di 14 lavoratori, che per Sime erano esuberi della Fonderia, si è potuto raggiungere un accordo di ricollocazione o incentivazione. E guarda caso, sono quasi tutti iscritti alla Fiom e con la vertenza in atto sulle mancate retribuzioni. Ci auguriamo che il buon senso possa prevalere dopo questa sentenza, ancora una volta abbiamo dimostrato che i contratti aziendali hanno un valore e vanno rispettati, così come vanno rispettati i lavoratori e le lavoratrici che ogni giorno producono per quest’azienda, nonostante le difficoltà e il salario decurtato».
Foto: in alto, lo stabilimento di Legnago; a sinistra in basso immagine di repertorio di una protesta sindacale; a destra, Emanuela Mascalzoni della Segreteria della Fiom Cgil di Verona.