Buona domenica, loro e il resto delle forze politiche la passeranno cercando di capire se si fa o no il governo.
Tra il M5s e il PD parte la fase dei giochi tattici, ma anche quella più rischiosa, giocano col fuoco.
La partita per il governo tra Movimento 5 stelle e Partito Democraticosi fa sempre più rischiosa, perché è cominciata la fase dei giochi tattici. Soltanto 48 ore fa Nicola Zingaretti si era sentito dire da fonti importanti del M5s che sul nome di Enrico Giovannini la questione premier sarebbe stata risolta. Lui o Bray, come si sa.
La sera dopo Di Maio a sorpresa gli aveva detto: «L’accordo si chiude solo sul nome di Conte». E ieri per tutta la giornata da numerose fonti, tutte del M5s e tutte credibili, veniva sussurrata, come un grave segreto, la stessa spiegazione: «Zingaretti deve capire che senza Conte la nostra piattaforma Rousseau boccia l’accordo col Pd», «Noi reggiamo il voto online solo con quel nome». «Gli iscritti sono inferociti, solo con la garanzia di Conte li plachiamo».
Da un gruppo solitamente molto più impermeabile improvvisamente arrivavano decine di spifferi, e sempre con la stessa raccomandazione al riserbo. Sospettosissimi già di loro, e soprattutto tra di loro, i dirigenti del pd hanno cominciato a incrociare queste voci, e si sono convinti di essere davanti a un gioco tattico, una drammatizzazione.
Insomma un bluff, per far passare Conte come estrema carta per evitare l’insurrezione di quegli stessi iscritti che un anno fa avevano perfino accettato il salvataggio di Salvini sul caso Diciotti.
Poi è arrivato il terzo stadio del missile, la dichiarazione dello stesso Conte dal G7 di Biarritz a cambiare ulteriormente il quadro: la reinvestitura del premier diventava la garanzia vivente della chiusura del forno leghista.
Nel volgere di un giorno e mezzo il professore era passato da candidato perché «elevato» di Grillo a candidato unico di Di Maio a candidato per scongiurare la rivolta della piattaforma Rousseau a candidato garante della fine della storia con la Lega.
Un po’ troppo: e così dal Nazareno hanno deciso di ribaltare i gioco, e di contrapporre la loro tattica, portando a galla il nome di Roberto Fico da sempre il pentastellato più amato dal Pd. Ma non solo: Fico anche un grillino della prima ora, e soprattutto è la terza carica dello Stato, a cui nessun esponente del Movimento, dal vertice all’ultimo iscritto (in ordine di tempo, s’intende) può dire di no.
Pan per focaccia: perché se per il Pd accettare Conte vorrebbe dire entrare nel governo come ruota di scorta della Lega, con tanti saluti alla famosa “discontinuità” reclamata da subito, dall’altra parte un governo Fico sarebbe una beffa sia per le aspirazioni di Conte, sia soprattutto per di Di Maio, che dall’esecutivo dovrebbe uscire per non finire a star sotto l’ex amico-rivale (e concittadino) di cui è formalmente capo politico. «Con Fico si chiude in un giorno» facevano sapere dal Pd ieri sera, ricalcando non a caso la stessa frase usata alla vigilia dai m5s col nome di Conte. E chi scommette sul ritorno al voto rischia di guadagnare sempre meno…
Enrico Mentana – Open Online 25 agosto 2019