Circola da giorni la notizia falsa dell’esecuzione in Arabia Saudita di Esra Al-Ghomgham, attivista per i diritti umani.
Una vera e propria fake news corredata anche di foto di un’altra donna condannata a morte. Lei, ahimè, giustiziata per davvero.
Arrestata 3 anni fa con il marito Seyyed Musa Ja’afar Hashem per aver manifestato pacificamente per la democrazia e la libertà e aver denunciato violenze contro dei dimostranti nel 2011, Esra ha subito un processo sommario, ancora in corso, che ha portato la pubblica accusa a chiedere la sua decapitazione.
Nonostante i sauditi non cessino di violare i diritti fondamentali dell’uomo, continuando a usare la pena capitale come arma per reprimere ogni libertà – si contano fino a 75 decapitazioni l’anno e la cifra tende a alzarsi – in questo caso il boia non ha ancora alzato la mannaia.
Una pericolosa fake news che rischia di fare il gioco di chi vuole portare Esra sul patibolo» – questo il commento che la giornalista Antonella Napoli riporta su Articolo21 –
«Quanto fanno male le notizie infondate, come quella di una esecuzione non ancora avvenuta, corredate di immagini di altre esecuzioni e di foto che ritraggono un’altra persona! E quanto aiutano coloro che hanno annunciato l’intenzione di metterla a morte» – ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.
«Le notizie reali, purtroppo, sono altre. Da 100 giorni tre note attiviste saudite per i diritti delle donne sono trattenute in carcere, senza che siano state formulate delle accuse. – continua la giornalista – Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef sono state arrestate il 15 maggio 2018 solo per aver avuto il coraggio di esporsi contro le ingiustizie nel loro Paese».
«Queste attiviste sono trattenute da tre mesi e mezzo senza che avere la possibilità di parlare con un avvocato rappresentanza. Questa situazione non può andare oltre. Il mondo deve smetterla di girarsi dall’altra parte mentre chi si batte per i diritti umani in Arabia Saudita subisce una persecuzione incessante» – ha dichiarato Samah Hadid, direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International.
«Secondo l’organizzazione per i diritti umani Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef sono state falsamente accusate dalla stampa governativa di aver formato una “cellula” e di aver minacciato la sicurezza nazionale attraverso “contatti con entità straniere allo scopo di compromettere la stabilità e la fabbrica sociale del paese”.
Se le imputazioni saranno formalizzate saranno giudicate dal tribunale antiterrorismo che in passato ha già condannato difensori dei diritti umani a lunghe pene detentive.
Tra gli arrestati anche Samar Badawi, Nassima al-Sada, Nouf Abdulaziz, Maya’a al-Zahrani, Mohammed al-Bajadi e Khalid al-Omeir, tutti in attesa di giudizio.
La Badawi, che nel 2014 è stata privata del permesso di viaggio e nel 2016 era già finita in carcere, è la sorella di Raif, il blogger condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate, 50 delle quali già eseguite, per aver animato un sito che favorisse il dibattito pubblico nel suo Paese.
Da maggio a oggi sono 12 gli attivisti, otto donne e quattro uomini, che hanno pagato con la perdita della libertà il loro impegno.
Il giro di vite – coinciso con la campagna di pubbliche relazioni del “riformatore” principe della corona Mohamed bin Salman – è iniziato poco prima della fine del divieto di guida per le donne. Molte delle attiviste attualmente in carcere erano state protagoniste della lunga campagna per l’abolizione del provvedimento e per la fine del sistema del maschio tutore.
Alle fake news dall’Arabia Sudita noi, dunque, rispondiamo riportando notizie vere dando voce a organizzazioni, come Amnesty, che continuano a battersi contro ogni ingiustizia e violazione di diritti umani» – conclude Antonella Napoli su Articolo21.
Foto: in alto, l’appello di Amnesty International alla liberazione di Loujain al-Hathloul, Iman al-Nafjan e Aziza al-Yousef; in basso a sinistra, la fake news pubblicata sui social ma la donna nella foto non è Esra al-Ghamgam, ma l’attivista Samar Badawi; a destra, Samar Badawi, al centro, tra Michelle Obama e Hillary Clinton nel 2012 al ritiro del Premio Internazionale Donne e Coraggio.