Mercoledì 18 luglio, Libero ha compiuto 18 anni. Il quotidiano è uscito in edicola con un numero speciale, in cui viene ripercorsa la storia del giornale, raccontata da tutti i giornalisti che hanno preso parte alla fondazione del giornale: da Vittorio Feltri che lo ha fondato nel 2000 a Pietro Senaldi e fino a tutte le grandi firme che hanno contribuito a questa avventura.
Tra di loro non poteva mancare Giuliano Zulin, legnaghese, allora ventiquattrenne, neo laureato, che iniziava i suoi primi passi nella redazione del nostro giornale, Il Nuovo, per poi spiccare il volo verso Milano e approdare nel giornale di Feltri, a Libero.
Ecco il suo racconto, i suoi ricordi al Nuovo e la sua avventura a Libero.
“Tutte le volte che racconto la storia del mio arrivo a Libero, vedo facce a bocca aperta… in effetti è una storia incredibile.
Torniamo al 2001. Ultimo anno della lira, Berlusconi stravince le Politiche, l’11 settembre sconvolge il mondo. Io ho 24 anni, mi laureo in Scienze Politiche a Padova a fine febbraio, lavoro già, primo contratto lungo (un anno), alla Camera di Commercio di Vicenza come impiegato, e inizio a scrivere qualche articolo per un quindicinale gratuito di Legnago (Verona), “il nuovo giornale”. Seguo un po’ di tutto: la squadra di basket locale, il consiglio comunale di Bonavigo, il volley femminile di Villabartolomea, la festa del “riso con le nose” di Nogara. Non sono mai solo: con me c’è sempre l’amico, e collega, Paolo Longhi, un anno meno di me e laureando in Giurisprudenza a Bologna, con la passione per la politica, le sigarette, le birrette e le serate in compagnia fino a quando ce n’è.
A novembre andiamo a Roma, in gita alla Camera, dormiamo per terra da una conoscente mai vista, e incontriamo Pannella. Al ritorno scriviamo su “il nuovo giornale” un diario semiserio di un viaggio nella capitale. Allora mi viene un’idea: “Pavel (così ho sempre chiamato l’amico Paolo) perché non intervistiamo un vip al mese?”. Lui ci sta. Io propongo di sentire Vittorio Feltri. Lo leggevo dai tempi dell’Indipendente (era l’unico che non insultava la Lega) e poi al Giornale e al Carlino… da un anno e mezzo ha fondato Libero. Bellissimo. Quando posso lo compro e mi chiedo perché tanta gente non lo acquisti…
Inizio a telefonare per chiedere un appuntamento. Una, due, tre, quattro… sei…otto… forse alla undicesima chiamata (mi rispondono sempre gentilmente di riprovare) Nicoletta, all’epoca assistente del direttore, mi dice: “Venite dopo Natale”. Se non erro il 28 dicembre.
Io e Pavel partiamo in treno da San Bonifacio (Vr). Treno interregionale, ferma ovunque, si risparmia però. L’appuntamento è per le 15.30 circa, arriviamo a Milano Centrale alle 13. Prendiamo la metro, con difficoltà, e scendiamo alla fermata Rovereto. La rossa. Cazzo, ma cosa mangiamo? Pavel detesta tutti i cibi etnici, come me, McDonald’s compreso. Vedo una scritta: pizza forno a legna. C’è il tricolore fuori. Entriamo subito. Non c’è nessuno però dentro. Ovvio, sono cinesi. Ordiniamo subito e nell’attesa bestemmiamo come non mai. Fumando a più non posso, ovviamente.
Saliamo a Libero. Attendiamo di essere ricevuti, vediamo entrare Feltri, con la barba. Faccia non proprio allegra, tipica del direttore quando torna da pranzo. Noi pensiamo: ma chi ce l’ha fatto fare di venire qui… Dopo un po’ arriva Nicoletta: “Prego…”. Ci accomodiamo nel suo ufficio. E iniziamo a parlare del più e del meno. Gli mostriamo il nostro giornaletto, per far vedere che non siamo dei ciarlatani, lui lo piega e lo mette da una parte. Discutiamo del problema clandestini, di Berlusconi… poi a un certo momento il direttore chiede di noi: raccontiamo la nostra situazione. Fra tre giorni io dovrei terminare il mio lavoro alla Camera di Commercio di Vicenza però non ho un altro impiego. E allora ci chiede: “Perché non venite a lavorare qua?”. Ho bisogno di una paglia. Feltri me ne offre una. No, grazie. Vado a prendere le mie nel giubbotto che avevo lasciato all’ingresso. Torno e si fuma. Il direttore insiste: “Pensateci, provate e vedete come va. All’inizio non guadagnerete tanto, ma se va bene i soldi arriveranno. Certo – si rivolge a Pavel – tu devi ancora laurearti e non vorrei poi averti sulla coscienza… dai, rifletteteci su e poi fatemi sapere”. Dovremmo anche trovarci un posto dove dormire, trasferirsi dal Veneto…
Ringraziamo di cuore e usciamo. È buio, torniamo a Centrale per riprendere il treno che ci riporterà nella nostra bassa veronese. Siamo increduli. Ma veramente ci ha chiesto di andare a lavorare a Libero?
Passa Capodanno, le feste finiscono e con Pavel decidiamo di tentare. Richiamiamo: ci stiamo. Torniamo a Milano. Questa volta ci riceve Alessandro Sallusti, direttore responsabile. Breve colloquio. Una frase mi resta impressa: questa è una giostra, o capisci come funziona in due settimane, oppure non ci salite più.
Minchia, ci passa quasi la voglia. Pavel è sempre deciso, a parole, a partire per l’avventura, però intuisco che ha altri progetti. Alla fine infatti rinuncia. Ok, allora vado da solo. Si, ma dove dormo? Un amico, Mirco, fa il programmatore. Ha un letto libero. Sì, a Cernusco, e a due chilometri dalla metropolitana. E vabbè, presa.
Il 10 febbraio sbarco in via Merano 18, primo indirizzo di Libero, a pochi metri dal cavalcavia della ferrovia. Un martedì. Ero arrivato a Milano la sera prima, dovevo raggiungere Mirco a un campo di calcetto, zona Lampugnano. Mi perdo. Nessuno mi aiuta. Ritrovo il mio amico quando ormai è sotto la doccia.
In redazione, entrato come co.co.co – collaboratore coordinato e continuato – mi affidano alla redazione Interni. Mi sembra di impazzire, il mio primo caposervizio è Carlo Sala: incubo. Urla, fuma, digita con frenesia i tasti per allungare, accorciare, riscrivere pezzi di articoli o brevi notizie.
Arriva da me Andrea Morigi, all’epoca all’Economia, e mi dice: “Puoi scrivere questa cosa in quest’area di testo?”. Ok… passano tre minuti e vado da Morigi. Chiedo: devo riempire tutta l’area? Risate… non mie però.
Finalmente si chiude l’edizione. Esco e prendo la metro: rossa fino a Loreto, poi cambio con la verde, devo tuttavia fare attenzione a salire sulle carrozze con capolinea Gessate, non Cologno. In metro vedo gente che scherza, amici, si fissano gli incontri settimanali, ridono. Soprattutto: qua a Milano tutti parlano italiano, una lingua che ho utilizzato solo a scuola e a qualche evento particolare. Tribolo. Scendo a Cernusco. Me la faccio a piedi, freddo, nessuno in giro. Piango. Dove cazzo sono finito?
La mattina seguente telefono a mio padre: capisce che sono in difficoltà. Serenamente mi risponde: “Prova qualche giorno, sabato notte torni a casa e ne parliamo”. Giusto. Provo. Ripenso alle parole di Sallusti, alla giostra. Ebbene, sono salito in giostra, e ormai giro da 16 anni.
Libero è una famiglia nel vero senso della parola: in redazione ho conosciuto mia moglie Manuela, poligrafica, che mi sopporta e mi supporta sempre.
Libero mi ha cambiato la vita. Buon compleanno Libero”.
Congratulazioni a Giuliano e auguri a Libero.
[Claudio Perillo]